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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II IN OCCASIONE DELLA 87MA GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE, 13.02.2001


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II IN OCCASIONE DELLA 87MA GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE

TESTO ORIGINALE IN LINGUA ITALIANA

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE 

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

"La pastorale per i Migranti, via per l’adempimento della missione della chiesa oggi": questo il tema scelto dal Santo Padre Giovanni Paolo II per la 87ma Giornata Mondiale del Migrante che sarà celebrata nelle varie chiese locali nella data stabilita dalle Conferenze Episcopali.
Pubblichiamo di seguito, il testo in lingua originale italiana e la traduzione in varie lingue, del Messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale del Migrante 2001:

TESTO ORIGINALE IN LINGUA ITALIANA

1. "Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre" (Eb 13,8). Queste parole dell'apostolo Paolo, scelte come motto del Grande Giubileo appena concluso, richiamano la missione di Gesù, Verbo incarnato per la salvezza del mondo. Fedele al suo compito a servizio del Vangelo, la Chiesa continua ad avvicinare gli uomini di ogni nazionalità per recare loro il lieto annunzio della salvezza.

Con il presente Messaggio, in occasione della Giornata Mondiale delle Migrazioni, vorrei soffermarmi a riflettere sulla missione evangelizzatrice della Chiesa in rapporto ai fenomeni vasti e complessi dell'emigrazione e della mobilità. Quest'anno, per tale ricorrenza, è stato scelto il tema: La pastorale per i Migranti, via per l'adempimento della missione della Chiesa oggi. E' un ambito, questo, che molto sta a cuore agli operatori pastorali, i quali sono ben consapevoli dei molteplici problemi che vi si incontrano e delle situazioni diverse che portano uomini e donne a lasciare il proprio Paese. Altra è, infatti, la mobilità liberamente scelta, altra è quella che nasce da costrizione di natura ideologica, politica od economica. Non si può non tener conto di ciò nella programmazione ed attuazione di un'attività pastorale appropriata per le categorie dei migranti e degli itineranti.

Con questa denominazione il Dicastero che ha il compito istituzionale di esprimere la sollecitudine della Chiesa per le persone coinvolte in tale fenomeno riassume l'intera mobilità umana. Con il termine "migranti" si intende perciò far riferimento in primo luogo ai profughi e agli esuli in cerca di libertà e di sicurezza fuori dai confini della propria patria; ma poi anche ai giovani che studiano all'estero ed a quanti lasciano il proprio Paese per cercare altrove una migliore condizione di vita. Il fenomeno della migrazione è in continua espansione, e ciò pone interrogativi e sfide all'azione pastorale della Comunità ecclesiale. Già il Concilio Ecumenico Vaticano II, nel Decreto Christus Dominus, invitava ad un "particolare interessamento per quei fedeli che, a motivo della loro condizione di vita, non possono godere a sufficienza della comune cura pastorale ordinaria dei parroci o ne sono privi del tutto; come sono moltissimi emigranti, gli esuli, i profughi" (n. 18).

In questo fenomeno complesso intervengono molteplici elementi: la tendenza a favorire l'unità giuridica e politica della famiglia umana, il notevole incremento degli scambi culturali, l'interdipendenza specie economica degli Stati, la liberalizzazione del commercio e soprattutto dei capitali, il moltiplicarsi delle imprese multinazionali, lo squilibrio fra Paesi ricchi e Paesi poveri, lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e di trasporto.

2. L'intreccio di tali elementi produce un movimento di masse da una zona all'altra del pianeta. Anche se in forme e misure differenti, la mobilità è così diventata una caratteristica generale dell'umanità, che coinvolge direttamente molte persone ed altre ne raggiunge di riflesso. La vastità e la complessità del fenomeno invitano ad un'approfondita analisi dei cambiamenti strutturali intervenuti, quali la globalizzazione dell'economia e della vita sociale. La convergenza di razze, civiltà e culture all'interno degli stessi ordinamenti giuridici e sociali pone un problema urgente di convivenza. Le frontiere tendono a cadere, le distanze si accorciano, gli eventi fanno sentire le proprie ripercussioni fin nelle zone più lontane.

Stiamo assistendo ad un mutamento profondo del modo di pensare e di vivere, che non può non presentare, accanto ad elementi positivi, anche risvolti ambigui. Il senso del provvisorio invita, ad esempio, a preferire gli aspetti di novità, talvolta a discapito della stabilità e di una chiara gerarchia dei valori; al tempo stesso, lo spirito si fa più curioso e disponibile, più sensibile e pronto al dialogo. In questo clima l'uomo può essere indotto ad approfondire le proprie convinzioni, ma anche ad indulgere ad un facile relativismo. La mobilità comporta sempre uno sradicamento dall'ambiente originario, che si traduce spesso in un'esperienza di accentuata solitudine con il rischio di una dispersione nell'anonimato. Da queste situazioni può derivare il rifiuto del nuovo contesto, ma anche la sua accettazione acritica, in polemica con l'esperienza precedente. A volte affiora anche la disponibilità ad un aggiornamento passivo, che è facilmente fonte di alienazione culturale e sociale. Gli spostamenti umani comportano molteplici possibilità di apertura, di incontro, di aggregazione, ma non si può ignorare che essi suscitano pure manifestazioni di rifiuto individuale e collettivo, frutto di mentalità chiuse quali si riscontrano in società travagliate da squilibri e paure.

3. La Chiesa nella sua attività pastorale cerca di tenere costantemente presenti questi gravi problemi. L'annuncio del Vangelo è diretto alla salvezza integrale dell'uomo, alla sua autentica ed effettiva liberazione, mediante il raggiungimento di condizioni confacenti alla sua dignità. La conoscenza dell'uomo, che la Chiesa ha acquisito nel Cristo, la spinge ad annunziare i diritti umani fondamentali ed a fare sentire la sua voce quando essi sono conculcati. Essa perciò non si stanca di affermare e difendere la dignità della persona, ponendo in luce i diritti irrinunciabili che da essa scaturiscono. Essi sono, in particolare, il diritto ad avere una propria patria, a dimorare liberamente nel proprio Paese, a convivere con la propria famiglia, a disporre dei beni necessari per una vita dignitosa, a conservare e sviluppare il proprio patrimonio etnico, culturale, linguistico, a professare pubblicamente la propria religione, ad essere riconosciuto e trattato in ogni circostanza in conformità alla propria dignità di essere umano.

Questi diritti trovano concreta applicazione nel concetto di bene comune universale. Esso abbraccia l'intera famiglia dei popoli, al di sopra di ogni egoismo nazionalista. E' in questo contesto che va considerato il diritto ad emigrare. La Chiesa lo riconosce ad ogni uomo nel duplice aspetto di possibilità di uscire dal proprio Paese e possibilità di entrare in un altro alla ricerca di migliori condizioni di vita. Certo, l'esercizio di tale diritto va regolamentato, perché una sua applicazione indiscriminata arrecherebbe danno e pregiudizio al bene comune delle comunità che accolgono il migrante. Di fronte all'intrecciarsi di molti interessi accanto alle leggi dei singoli Paesi, occorrono norme internazionali capaci di regolare i diritti di ciascuno, sì da impedire decisioni unilaterali a danno dei più deboli.

Al riguardo, nel Messaggio della Giornata del Migrante del 1993, ho ricordato che, se è pur vero che i Paesi altamente sviluppati non sempre sono in grado di assorbire tutti coloro che emigrano, va tuttavia riconosciuto che il criterio per determinare la soglia della sopportabilità non può essere la semplice difesa del proprio benessere, tralasciando i bisogni reali di chi è drammaticamente costretto a chiedere ospitalità.

4. Mediante la propria attività pastorale la Chiesa si sforza di non far mancare ai migranti la luce ed il sostegno del Vangelo. Nel corso del tempo è andata crescendo la sua attenzione verso i cattolici che abbandonavano il proprio Paese. Dall'Europa, soprattutto verso la fine del secolo XIX, masse enormi di migranti cattolici solcavano l'oceano, venendosi a trovare talora in condizioni di pericolo per la loro fede a motivo della carenza di sacerdoti e di strutture. Ignari della lingua del posto, e perciò non in grado di trarre giovamento dalla cura pastorale ordinaria della nazione di adozione, essi restavano abbandonati a se stessi.

La migrazione costituiva così di fatto un pericolo per la fede, e ciò destava preoccupazione in molti Pastori che, in qualche caso, arrivavano persino a scoraggiarne lo sviluppo. In seguito, però, apparve chiaro che il fenomeno non poteva essere arrestato. La Chiesa cercò allora di avviare forme adeguate di intervento pastorale, intuendo che le migrazioni potevano divenire una via efficace per la diffusione della fede in altri Paesi. Sulla base dell'esperienza maturata nel corso degli anni, la Chiesa elaborò poi una pastorale organica per l'assistenza agli emigrati ed emanò nel 1952 la Costituzione Apostolica Exsul Familia Nazarethana. In essa si affermava che, nei confronti dei migranti, si deve cercare di assicurare la stessa cura ed assistenza pastorale di cui godono i cristiani indigeni, adattando alla situazione del migrante cattolico la struttura della pastorale ordinaria prevista per la preservazione e la crescita della fede dei battezzati.

Successivamente, il Concilio Vaticano II affrontò il fenomeno delle migrazioni nelle sue varie articolazioni: immigrati, emigrati, profughi, esuli, studenti esteri, accomunati dal punto di vista pastorale nella categoria di quanti, risiedendo fuori dalla loro patria, non possono avvalersi della cura pastorale ordinaria. Essi vengono descritti come i fedeli che, trovandosi a dimorare fuori della propria patria o nazione, hanno bisogno di un'assistenza specifica attraverso un sacerdote della stessa lingua.

Si passa dalla considerazione della fede in pericolo a quella più adeguata del diritto dell'emigrante al rispetto, anche nella cura pastorale, del proprio patrimonio culturale. In questa prospettiva viene a cadere anche il limite, posto dalla Exsul Familia, dell'assistenza pastorale fino alla terza generazione, e si afferma il diritto all'assistenza ai migranti fino a che ne sussiste un reale bisogno.

I migranti non rappresentano in effetti una categoria paragonabile a quelle nelle quali si articola la popolazione parrocchiale - bambini, giovani, persone sposate, operai, impiegati ecc. - che presentano un'omogeneità culturale e linguistica. Essi sono parte di un'altra comunità, cui va applicata una pastorale con elementi simili a quelli del Paese di origine quanto al rispetto del patrimonio culturale, alla necessità di un sacerdote della propria lingua e all'esigenza di strutture specifiche permanenti. Occorre una cura d'anime stabile, personalizzata e comunitaria, capace di aiutare i fedeli cattolici in un tempo di emergenza, fino al loro inserimento nella Chiesa locale, quando saranno in grado di avvalersi del ministero ordinario dei sacerdoti nelle parrocchie territoriali.

5. Questi principi sono stati accolti nel vigente ordinamento canonico, che ha inserito la pastorale per i migranti in quella ordinaria. Al di là delle singole norme, ciò che caratterizza il nuovo Codice, anche per quanto riguarda la pastorale della mobilità umana, è l'ispirazione ecclesiologica del Concilio Vaticano II che vi è sottesa.

La cura pastorale dei migranti è diventata così un'attività istituzionalizzata, che si rivolge al fedele, considerato non tanto come singolo, quanto come membro di una comunità particolare, per la quale la Chiesa organizza uno specifico servizio pastorale. Questo tuttavia è per natura sua provvisorio e transitorio, anche se la legge non stabilisce in modo perentorio nessun termine per la sua cessazione. La struttura organizzativa di tale servizio non è sostitutiva, ma cumulativa nei confronti della cura parrocchiale territoriale, nella quale si prevede che prima o dopo possa confluire. Infatti, la pastorale per i migranti, pur tenendo conto del fatto che una determinata comunità ha una propria lingua e una propria cultura, che non possono essere ignorate nel lavoro apostolico quotidiano, non si propone tuttavia come proprio obiettivo specifico la loro conservazione e sviluppo.

6. La storia dimostra che dove i fedeli cattolici sono stati accompagnati nel loro trapiantarsi in altri Paesi, non solo hanno conservato la fede, ma hanno trovato un terreno fertile per approfondirla, personalizzarla e per testimoniarla con la vita. Nel corso dei secoli le migrazioni hanno rappresentato un costante veicolo di annuncio del messaggio cristiano in intere regioni. Oggi il quadro delle migrazioni va cambiando radicalmente: da una parte diminuiscono i flussi di migranti cattolici, dall'altra aumentano quelli di migranti non cristiani che vanno a stabilirsi in Paesi a maggioranza cattolica.

Nell'Enciclica Redemptoris missio ho ricordato il compito della Chiesa nei confronti dei migranti non cristiani, evidenziando come essi creino con la loro istallazione occasioni nuove di contatti e scambi culturali, che sollecitano la Comunità cristiana all'accoglienza, al dialogo, all'aiuto ed alla fraternità. Questo suppone una più viva presa di coscienza dell'importanza della dottrina cattolica sulle religioni non cristiuane (cfr Dich. Nostra Aetate), così da poter intrattenere un attento, costante e rispettoso dialogo interreligioso, come mezzo per una conoscenza e un arricchimento reciproco. "Alla luce dell'economia di salvezza - scrivevo nella citata Enciclica Redemptoris missio -, la Chiesa non vede un contrasto tra l'annuncio del Cristo e il dialogo interreligioso; sente però la necessità di comporli nell'ambito della sua missione ad gentes. Occorre infatti che questi elementi mantengano il loro legame intimo e, al tempo stesso, la loro distinzione, per cui non vanno né confusi, né strumentalizzati, né giudicati equivalenti come se fossero intercambiabili" (n. 55).

7. La presenza di immigrati non cristiani in Paesi di antica cristianità rappresenta una sfida per le Comunità ecclesiali. E' un fenomeno che continua ad attivare nella Chiesa la carità per quanto riguarda l'accoglienza e l'aiuto nei confronti di questi fratelli e sorelle nella ricerca del lavoro o dell'alloggio. E', in un certo modo, un'azione abbastanza simile a quella che molti missionari compiono in terra di missione, occupandosi degli ammalati, dei poveri, degli analfabeti. E' questo lo stile del discepolo: egli viene incontro alle attese e alle necessità del prossimo bisognoso. Scopo fondamentale della sua missione è però l'annuncio di Cristo e del suo Vangelo. Egli sa che l'annuncio di Gesù è il primo atto di carità verso l'uomo, al di là di qualsiasi gesto di pur generosa solidarietà. Non c'è vera evangelizzazione, infatti, "se il nome, l'insegnamento, la vita, le promesse, il regno, il mistero di Gesù di Nazareth, figlio di Dio, non siano proclamati" (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 22).

Talora, a motivo di un ambiente dominato da un sempre più diffuso indifferentismo e relativismo religioso, la dimensione spirituale dell'impegno caritativo stenta ad emergere. Subentra altresì in alcuni il timore che l'esercizio della carità in prospettiva di evangelizzazione possa esporre all'accusa di proselitismo. Annunciare e testimoniare il vangelo della carità costituisce il tessuto connettivo della missione rivolta ai migranti (cfr Lett. ap. Novo millennio ineunte, 56).

Vorrei qui rendere omaggio ai tanti apostoli che hanno consacrato la loro esistenza a questo compito missionario. Vorrei, altresì, ricordare gli sforzi che la Chiesa ha compiuto per venire incontro alle attese dei migranti. Tra questi, mi piace ricordare la Commissione Cattolica Internazionale per le Migrazioni, di cui nel 2001 ricorre il cinquantenario di fondazione. Nacque, infatti, nel 1951 per iniziativa dell'allora Sostituto alla Segreteria di Stato Mons. Giovanni Battista Montini. Essa intendeva offrire una risposta alle esigenze dei movimenti migratori provocati dalla necessità del rilancio dell'apparato produttivo compromesso dalla guerra e dalla situazione drammatica in cui erano venute a trovarsi intere popolazioni costrette a spostarsi a motivo del nuovo assetto geopolitico dettato dai vincitori. I cinquant'anni di storia di quell'associazione, con gli adeguamenti adottati per meglio fare fronte al variare delle situazioni, testimoniano quanto sia stata multiforme, attenta e sostanziale la sua attività. Intervenendo alla seduta inaugurale tenuta il 5 giugno 1951, il futuro Pontefice Paolo VI si soffermava sulla necessità di abbattere gli ostacoli che impedivano le migrazioni per dare possibilità di lavoro ai disoccupati e un rifugio ai senza tetto, aggiungendo che la causa della neonata Commissione Internazionale per le Migrazioni era la stessa causa di Cristo. Sono parole che conservano per intero la loro attualità.

Mentre rendo grazie al Signore per il servizio prestato, esprimo l'augurio che detta Commissione possa proseguire nel suo impegno di attenzione e di aiuto ai rifugiati ed ai migranti con un vigore tanto più sollecito quanto più difficili ed incerte si prospettano le condizioni di queste categorie di persone.

8. L'annuncio del vangelo della carità al vasto e diversificato mondo dei migranti comporta oggi una singolare attenzione all'ambito della cultura. Per molti di essi recarsi in Paesi stranieri significa incontrare modi di vivere e di pensare a loro estranei, che producono reazioni diverse. Le città e le nazioni presentano sempre più comunità multietniche e multiculturali. E' questa una grande sfida anche per i cristiani. Una lettura serena di questa nuova situazione pone in luce molti valori meritevoli di grande apprezzamento. Lo Spirito Santo non è condizionato da etnie o culture ed illumina e ispira gli uomini per molte vie misteriose. Egli per strade diverse avvicina tutti alla salvezza, a Gesù, Verbo incarnato, che è "il compimento dell'anelito di tutte le religioni del mondo e, per ciò stesso, ne è l'unico e definitivo approdo" (Lett. ap. Tertio millennio adveniente, 6).

Questa lettura aiuterà di sicuro il migrante non cristiano a vedere nella propria religiosità un forte elemento di identità culturale, ed al tempo stesso potrà renderlo capace di scoprire i valori della fede cristiana. A tale scopo, si rende quanto mai utile la collaborazione delle Chiese locali e dei missionari che conoscono la cultura degli immigrati. Si tratta di stabilire collegamenti fra le comunità di migranti e quelle dei Paesi di origine, informando nello stesso tempo le comunità di arrivo sulle culture e le religioni degli immigrati, e sui motivi che li hanno portati ad emigrare.

E' importante aiutare le comunità di approdo non solo ad aprirsi all'ospitalità caritativa ma anche all'incontro, alla collaborazione, e allo scambio; è opportuno, inoltre, aprire la strada ad operatori pastorali che dai Paesi di origine vengano nei Paesi di immigrazione ad operare tra i loro connazionali. Per essi sarebbe quanto mai utile la costituzione di centri di accoglienza che li preparino ai loro nuovi compiti.

9. Quest'arricchente dialogo interculturale ed interreligioso suppone un clima permeato da mutua fiducia e rispettoso della libertà religiosa. Tra i settori da illuminare con la luce di Cristo c'è, pertanto, quello della libertà, in particolare della libertà religiosa, talvolta ancora limitata o coartata, che è premessa e garanzia di ogni altra forma autentica di libertà. "Quello della libertà religiosa - scrivevo della Redemptoris missio - non è un problema della religione di maggioranza o di minoranza, bensì un diritto inalienabile di ogni persona umana" (n. 39).

La libertà è dimensione costitutiva della stessa fede cristiana, non essendo questa trasmissione di tradizioni umane o punto di arrivo di argomentazioni filosofiche, ma dono gratuito di Dio, che si comunica nel rispetto della coscienza umana. E' il Signore che agisce efficacemente con il suo Spirito; è Lui il vero protagonista. Gli uomini sono strumenti di cui Egli si serve, assegnando a ciascuno un proprio ruolo.

Il Vangelo è per tutti: nessuno è escluso dalla possibilità di partecipare alla gioia del Regno divino. La missione della Chiesa è oggi proprio quella di rendere concretamente possibile ad ogni essere umano, senza differenza di cultura o di razza, l'incontro con Cristo. Auspico di cuore che questa possibilità sia offerta a tutti i migranti e per questo assicuro la mia preghiera.

Affido l'impegno ed i generosi propositi di quanti si prendono cura dei migranti a Maria, Madre di Gesù, l'umile Ancella del Signore, che ha vissuto le pene della migrazione e dell'esilio. Sia Lei a guidare i migranti del nuovo millennio verso Colui che è "la luce vera, quella che illumina ogni uomo" (Gv 1,9).

Con tali voti, a tutti gli operatori di questo importante campo di azione pastorale imparto di cuore una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 2 Febbraio 2001

IOANNES PAULUS II

[00248-01.01] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

1. «Jésus Christ est le même, hier, aujourd’hui et à jamais» (Heb 13,18). Ces paroles de l’Apôtre Paul, choisies comme thème du Grand Jubilée qui s’achève, rappellent la mission de Jésus, Verbe Incarné pour le salut du monde. Fidèle à son devoir au service de l’Evangile, l’Eglise continue de se faire proche des hommes de toutes nationalités pour leur porter la joyeuse annonce du salut.

Je voudrais, dans ce message pour la Journée Mondiale des Migrations, m’attacher à réfléchir sur la mission évangélisatrice de l’Eglise dans le contexte du vaste et complexe phénomène de la migration et de la mobilité. «La pastorale des Migrants, une voie de l’accomplissement de la Mission de l’Eglise aujourd’hui» sera le thème choisi pour cette année. C’est une mission qui tient à coeur à beaucoup d’agents pastoraux, bien conscients qu’ils sont des multiples problèmes rencontrés et de la diversité des situations qui portent les hommes et les femmes à quitter leur pays natal. Autre est, en effet, la mobilité librement choisie, autre celle qui naît de contraintes de nature idéologique, politique ou économique. On ne peut pas ne pas en tenir compte dans la programmation et la mise en oeuvre d’un ministère pastoral qui soit adapté aux différentes catégories de migrants et de personnes en déplacement.

C’est sous cette dénomination que le Dicastère qui a la responsabilité institutionnelle d’exprimer la sollicitude de l’Eglise pour les personnes touchées par ce phénomène, résume l’entière mobilité humaine. Par le terme « migrant » on entend en premier lieu les personnes déplacées et les autres exilés à la recherche de liberté et de sécurité au delà des frontières de leur pays natal; mais ensuite il y a aussi les jeunes qui font des études à l’étranger et tous ceux qui quittent leur pays pour chercher ailleurs de meilleures conditions de vie. Le phénomène des migrations est en continuelle progression, et pose donc interrogations et défis à l’action pastorale de la Communauté ecclésiale. Le Concile Vatican II déjà, dans le Décret Christus Dominus, appelait à montrer une « sollicitude particulière envers les fidèles qui, en raison de leur situation, ne peuvent bénéficier de façon satisfaisante du ministère pastoral ordinaire et commun des curés, ou en sont totalement privés; tels sont la plupart des migrants, des exilés, des réfugiés ». (nr 18)

De multiples éléments interviennent dans ce phénomène complexe: la tendance à favoriser l’unité juridique et politique de la famille humaine, la croissance notable des échanges culturels, l’interdépendance économique des Etats, la libéralisation du commerce et surtout des capitaux, la multiplication des entreprises multinationales, le déséquilibre entre pays riches et pays pauvres, le développement des moyens de communication et de transport.

2. La conjonction de tels éléments a causé un mouvement de masse d’une zone de la planète à l’autre. Bien que ce soit selon des modalités et mesures différentes, la mobilité est ainsi devenue une caractéristique générale de l’humanité, qui touche beaucoup de personnes directement et d’autres en conséquence. La confluence de races, civilisations et cultures différentes soumis aux mêmes réglementations juridiques et sociales pose un problème urgent de ‘vivre ensemble’. Les frontières tendent à disparaître, les distances à diminuer et les événements ont des répercussions jusque dans les régions les plus lointaines.

Nous assistons à une mutation profonde des modes de penser et de vivre, qui ne peuvent pas ne pas avoir, avec des côtés positifs, des résultats ambigus. Le sens du provisoire invite, par exemple, à préférer les aspects de nouveauté, au préjudice quelquefois de la stabilité et d’une claire hiérarchie de valeurs ; mais en même temps, l'esprit se fait plus curieux et disponible, plus sensible et prêt au dialogue. Ce climat peut porter l'homme à approfondir ses propres convictions, comme aussi à tomber dans un relativisme facile. La mobilité comporte toujours un déracinement de son environnement original, qui se traduit souvent par l’expérience d’une solitude accentuée, avec le risque de disparaître dans l'anonymat. Ces situations peuvent amener au refus du contexte nouveau, mais aussi à son acceptation sans discrimination, en opposition avec l'expérience précédente. Quelquefois on en vient à une adaptation passive, qui sera facilement la source d'une aliénation culturelle et sociale. Les déplacements humains comportent de multiples possibilités d'ouverture, de rencontre, de rassemblement, mais on ne peut ignorer qu'ils suscitent aussi des manifestations de refus, individuel ou collectif, qui sont le fruit de mentalités fermées comme on en rencontre dans les sociétés travaillées par les déséquilibre et les peurs.

3. Dans son ministère pastorale, l’Eglise cherche à rester constamment consciente de ces graves problèmes. L'annonce de l'évangile a pour but le salut intégral de l'homme, sa libération authentique et effective, en contribuant à créer un environnement à la hauteur de sa dignité. La connaissance de l'homme, que l'Eglise a acquise du Christ, la pousse à proclamer les droits humains fondamentaux et à faire entendre sa voix quand on les foule aux pieds. C'est pour cela qu'elle ne cesse d’affirmer et de défendre la dignité de la personne, et de mettre en lumière les droits irréductibles qui en découlent. Ce sont, en particulier, le droit d’avoir son pays, de demeurer librement dans son propre pays, de vivre en famille, de disposer des biens nécessaires pour une vie digne, de conserver et de développer son patrimoine ethnique, culturel, et linguistique, de professer publiquement sa religion, d’être reconnu et traité en toutes circonstances conformément à sa vraie dignité d'être humain.

Ces droits trouvent une application concrète dans le concept du bien commun universel. Il embrasse l'entière famille des peuples, au-dessus de tout égoïsme nationaliste. C'est dans ce contexte qu'il faut considérer le droit à émigrer. L’Eglise reconnaît ce droit à tout homme, dans les deux sens, avec la possibilité de quitter son propre pays et aussi la possibilité d'entrer dans un autre à la recherche de meilleures conditions de vie. Il est vrai que l'exercice d'un tel droit est à réglementer, parce que son application incontrôlée pourrait être dangereuse et préjudiciable au bien commun de la communauté qui accueille le migrant. Il y a tant d'intérêts impliqués dans les lois de chaque pays, qu'il faut des normes internationales capables de régler les droits de chacun, et d'empêcher les décisions unilatérales qui seraient dommageables au plus faible.

C'est ainsi qu’en 1993, dans le message de la Journée des Migrants de cette année là, j'ai rappelé que s’il est vrai que les pays les plus développés ne sont pas toujours en mesure d'absorber tous ceux qui veulent immigrer, il faut cependant reconnaître que le critère pour déterminer le seuil de cette immigration ne peut être simplement la défense de son propre bien-être, en oubliant les réels besoins de ceux qui sont contraints de façon dramatique à demander l'hospitalité.

4. Dans son ministère pastoral, l'Eglise s’efforce à faire en sorte que ni la lumière ni le soutien de l'évangile ne manquent aux migrants. Sa sollicitude envers les catholiques qui abandonnent leur pays natal est allé grandissante au cours des temps. Vers la fin du XIXe siècle surtout, des masses énormes de migrants catholiques d’Europe ont traversé les océans, pour se trouver dans des conditions où leur foi était en danger, à cause du manque de prêtres et de structures. Ignorant la langue du lieu, et donc n'étant pas en mesure de bénéficier du ministère pastoral ordinaire de leur pays d’adoption, ils restaient abandonnés à eux-mêmes.

La migration a ainsi constitué, en fait, un danger pour la foi, et beaucoup de pasteurs s’en sont préoccupé, qui ont quelquefois cherché en décourager le développement. Mais il apparut clairement plus tard qu’il était impossible d’arrêter ce phénomène. L'Eglise cherchera alors à promouvoir des formes appropriées d'intervention pastorale, et l’on finit par penser que les migrations pourraient devenir une voie efficace pour la diffusion de la foi dans d'autres pays. Sur la base d’une expérience mûrie au cours des années, l'Eglise élabora une pastorale originale pour l'assistance aux émigrés: ce fut la publication, en 1952, de la Constitution Apostolique Exul Familia Nazarethana. On y affirmait qu’avec les migrants, il fallait chercher à leur garantir le même ministère pastoral dont bénéficient les chrétiens natifs du pays, en adaptant les structures de la pastorale ordinaire, prévue pour la préservation et la croissance de la foi des baptisés, à la situation des migrants catholiques. Un peu plus tard, le Concile Vatican II considéra le phénomène des migrations dans ses diverses manifestations : immigrés, émigrés, réfugiés, exilés, étudiants étrangers, rassemblés, du point de vue pastoral, dans la catégorie de ceux qui, résidant hors de leur patrie ne peuvent pas bénéficier du ministère pastoral ordinaire. On en vient à les décrire comme des fidèles qui, du fait qu’ils se trouvent hors de leur pays ou nation, ont besoin d’une assistance spécifique qu’un prêtre parlant leur langue doit leur donner.

On passe de la considération de ‘la foi en danger’ à celle plus adéquate du droit même des migrants à un ministère pastoral tenant compte de leur patrimoine culturel. Dans cette perspective, les limite mises par Exsul Familia deviennent caduques, et, partis de l'assistance pastorale jusqu'à la troisième génération, on arrive à affirmer le droit à celle-ci qu’ont les migrants jusqu'à ce qu’ils n’en aient réellement plus besoin.

Les migrants ne constituent pas en effet une catégorie parmi d’autres, comparables à celles selon lesquelles on peut diviser la population paroissiale: enfants, jeunes, gens mariés, ouvriers, employés etc., qui présentent une homogénéité culturelle et linguistique. Ils font partie d'une autre communauté, pour laquelle il faut mettre en oeuvre une pastorale qui soit en harmonie avec celle de leur pays d'origine en ce qui concerne le patrimoine culturel, la nécessité de prêtres de leur propre langue et l'exigence de structures spécifiques permanentes. Il faut un ministère stable, personnalisé et communautaire, capable d'aider les fidèles catholiques dans l'urgence, jusqu'à leur insertion dans l'église locale, quand ils seront en mesure de bénéficier du ministère ordinaire des prêtres des paroisses territoriales.

5. On retrouve ces principes dans les normes canoniques actuellement en vigueur qui insèrent la pastorale pour les migrants dans la pastorale ordinaire. Ce qui caractérise le nouveau code, au-delà des normes particulières, c'est l'inspiration ecclésiologique du Concile Vatican II qui sous-tend la pastorale de la mobilité humaine.

Le ministère pastoral des migrants est ainsi devenu une activité institutionnalisée, qui concerne les fidèles, considérés non seulement comme individus, mais aussi comme membres d’une communauté particulière, pour laquelle l'église organise un ministère pastoral spécifique. Celui-ci est pourtant par nature provisoire et transitoire, même si la loi n'impose pas de limites à sa cessation. La structure organique d’un tel ministère n’a pas à se substituer, mais à s’ajouter au ministère des paroisses territoriales, dans laquelle on prévoit que, tôt ou tard elle pourra se fondre. Mais la pastorale pour les migrants qui doit tenir compte du fait qu'une communauté déterminée a sa propre langue et sa propre culture que l'on ne peut ignorer dans le travail apostolique quotidien, n’est cependant pas présentée comme ayant pour objectif spécifique leur conservation et développement.

6. L'histoire montre que là où on a pu accompagner les fidèles catholiques lors de leur transplantation dans d'autres pays, ils n’ont pas seulement conservé la foi, ils ont trouvé un terrain fertile pour l'approfondir, la personnaliser et pour en témoigner par leur vie. Les migrations ont représenté au cours des siècles un véhicule constant de l'annonce du message chrétien dans des régions entières. Aujourd'hui le cadre des migrations a changé radicalement : d'une part le flux de migrants catholiques a diminué, d'autre part celui des migrants non chrétiens qui cherchent à s'établir dans des pays à majorité catholique, augmente.

Dans l’Encyclique Redemptoris Missio je rappelais le devoir de l'Eglise en ce qui concerne les migrants non chrétiens, et mettais en évidence le fait qu’ils créent par leur présence de nouvelles occasions de contact et d'échanges culturels qui sollicitent la communauté chrétienne à l'accueil, au dialogue, à l'aide et à la fraternité. Cela suppose une plus vive prise de conscience de l'importance de la doctrine catholique sur les religions non chrétiennes (cf. Nostra Aetate), de manière à pouvoir maintenir un dialogue inter-religieux attentif, constant et respectueux, qui apporte une connaissance et un enrichissement réciproques. « A la lumière de l'économie du salut, écrivais-je dans l’Encyclique Redemptoris Missio déjà citée, l'Eglise estime qu'il n'y a pas contradiction entre l'annonce du Christ et le dialogue inter-religieux, mais elle sent la nécessité de les coordonner dans le cadre de sa mission ad gentes. En effet, il faut que ces deux éléments demeurent intimement liés et en même temps distincts, et c'est pourquoi on ne doit ni les confondre, ni les exploiter, ni les tenir pour équivalents comme s'ils étaient interchangeables ». (n.55)

7. La présence d’immigrants non chrétiens dans les pays d’ancienne chrétienté représente un défi pour les communautés ecclésiales. C'est un phénomène qui, dans l’Eglise, continue à pousser à la charité dans l'accueil et l'aide envers des frères et des soeurs à la recherche de travail ou de logement. C'est, d'une certaine manière, une activité assez semblable à celle de nombreux missionnaires en terres de mission, qui s'occupent des malades, des pauvres, des analphabètes. C'est cela le style du disciple : il va au devant des attentes et des besoins du prochain en difficulté. Mais le but fondamental de sa mission reste l'annonce du Christ et de son évangile. Il sait que l'annonce de Jésus est le premier acte de charité envers l'homme, au-delà du geste de solidarité généreuse quel qu’il soit. Il n’y a pas d’évangélisation vraie «si le nom, l’enseignement, la vie, les promesses, le Règne, le mystère de Jésus de Nazareth Fils de Dieu ne sont pas annoncés.» (Exhort. Apost. Evangelii nuntiandi, 22)

Il arrive qu’en raison d'un environnement dominé par un indifférentisme et un relativisme religieux toujours plus diffus, la dimension spirituelle de l'engagement caritatif aie tendance à ressortir. Et ainsi il y en a qui ont peur que l'exercice de la charité dans une perspective d'évangélisation puisse les exposer à l'accusation de prosélytisme. L’annonce et le témoignage de l'évangile de la charité constituent le vrai contexte de la mission envers les migrants (cfr Let. Apost. Novo millenio ineunte, 56)

Je voudrais rendre ici hommage à ces nombreux apôtres qui ont consacré leur vie à cette tâche missionnaire. Je voudrais en outre rappeler les efforts accomplis par l’Eglise pour aller à la rencontre des attentes des migrants. Parmi ceux-ci, il me plaît de rappeler la Commission Catholique Internationale pour les Migrations, dont nous célébrons en 2001 le 50e anniversaire de la fondation. Elle naquit en 1951 à l'initiative de celui qui était à l'époque Substitut à la Secrétairerie d'Etat, Mgr Giovanni Batista Montini. Il voulait donner une réponse aux besoins des flux de migrants provoqués par la nécessité de la relance des appareils de production compromis par la guerre et par la situation dramatique dans laquelle d'entières populations s'étaient trouvées contraintes à se déplacer à cause du nouveau plan géopolitique dicté par les vainqueurs. Les cinquante ans d'histoire de cette association, ainsi que les adaptations effectuées pour mieux faire front aux changements de situation, témoignage combien ses activités ont été multiformes, attentives et substantielles. Dans son intervention durant la cérémonie inaugurale du 5 juin 1951, le futur pontife insistait sur la nécessité d'abattre les obstacles qui empêchent les migrations, pour donner à nouveau des possibilités de travail aux chômeurs et un refuge au sans-toît, et il ajoutait que la cause de la Commission Internationale pour les migrations nouvellement fondée, était la cause même du Christ. Ce sont des paroles qui conservent aujourd’hui toute leur actualité.

Alors que je rends grâce au Seigneur pour le travail déjà accompli, j’exprime le voeu que cette Commission puisse poursuivre son engagement au service et à l'aide des réfugiés et des migrants, avec une vigueur d’autant plus pleine de sollicitude que la situation de ces catégories de personnes semble devenir plus difficiles et incertaines encore.

8. L'annonce de l'évangile de la charité au monde vaste et diversifié des migrants nous impose aujourd'hui d’accorder une attention particulière au domaine de la culture. Pour beaucoup d'entre eux, se trouver dans un pays étranger signifie découvrir des modes de vivre et de penser qui leur sont étrangers et qui produisent des réactions diverses. Les villes et les pays ressemblent de plus en plus à des communautés multi-ethniques et multiculturelles. Il y a là un grand défi aussi pour les chrétiens. Une lecture sereine de cette nouvelle situation met en lumière de nombreuses valeurs qui méritent d'être grandement appréciées. Le Saint Esprit n'est pas conditionné par l’ethnie où la culture, il illumine et inspire tout homme, de nombreuses manières et mystérieusement. De façons différentes, il les rapproche tous du salut, de Jésus-Christ, le Verbe incarné qui est «la réalisation de l'aspiration de toutes les religions du monde et, par cela même, il en est l'aboutissement unique et définitif. (Let Ap Tertio Millenio adveniente 6)

Cette lecture aidera sûrement le migrant non chrétien avoir dans sa propre religion un fort élément d'identité culturelle, et en même temps cela pourra le rendre capable de découvrir les valeurs de la foi chrétienne. Dans ce but, la collaboration des églises locales et des missionnaires qui connaissent la culture des immigrants n’a jamais été plus utile. Il s'agit d'établir des liens entre les communautés de migrants et celles de leurs pays d'origine, et d’informer en même temps les communautés d’accueil sur les cultures et les religions des immigrés, et sur les motifs qui les ont portés à émigrer.

Il est en outre important d'aider les communautés d'accueil non seulement à s'ouvrir à l'hospitalité charitable mais encore à la rencontre, à la collaboration, et à l'échange ; il faut aussi faciliter la venue dans les pays d'immigration d’agents pastoraux en provenance de ces pays d'origine, pour travailler parmi leurs compatriotes. Il serait très utile de créer des centres d'accueil pour les préparer à leur nouvelle tâche.

9. Ce dialogue interculturel et inter-religieux enrichissant suppose un climat imprégné de confiance mutuelle et respectueuse de la liberté religieuse. Parmi les domaines à éclairer de la lumière du Christ, il y a donc celui de la liberté, en particulier de la liberté religieuse, si souvent encore limitée ou restreinte, qui est promesse et garantie de toutes les autres formes authentiques de liberté. «Il ne s'agit pas ici d'une question de religion de la majorité ou de la minorité – écrivais-je dans Redemptoris Missio - mais bien d'un droit inaliénable de toute personne humaine». (nr 39)

La liberté est une dimension constitutive de la foi chrétienne elle-même, car celle-ci n'est pas la transmission de traditions humaines, elle n’est pas non plus l’aboutissement d'une argumentation philosophique, mais elle est un don gratuit de Dieu, qui se communique dans le respect de la conscience humaine. C'est le Seigneur qui agit efficacement par son Esprit ; c'est Lui qui agit vraiment. Les hommes sont les instruments dont Il se sert, assignant son rôle à chacun.

L'évangile est pour tous : aucun n’est exclu de pouvoir participer à la joie du Règne divin. La mission de l'Eglise aujourd'hui est justement celle de faire que, concrètement, la rencontre du Christ à tout être humain, sans différence de culture ou de race soit possible. Mon voeu le plus cher est que cette possibilité soit offerte à tous les migrants et je le porte dans ma prière.

Je confie à Marie, Mère de Jésus, l'humble servante du Seigneur qui a vécu l’épreuve de l’émigration et de l'exil, l'engagement et les généreuses résolutions de ceux qui se mettent au service des migrants. Qu’elle guide les migrants du nouveau millénaire vers celui qui est «la vraie lumière qui illumine tout homme».

C’est dans cette intention que j'accorde de tout coeur à tous ceux qui oeuvrent dans ce champ d'action pastorale si important, une bénédiction apostolique spéciale.

Du Vatican, le 2 février 2001.

IOANNES PAULUS II

[00248-03.02] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

1. "Jesus Christ is the same today as he was yesterday and as he will be forever" (Heb 13:8). These words of the apostle Paul, chosen as the motto of the Great Jubilee that has just ended, recall the mission of Jesus, Word incarnate for the salvation of the world. Faithful to his task in the service of the Gospel, the Church continues to approach people of all nationalities to bring them the good news of salvation.

With this present Message, on the occasion of the World Day of Migration, I wish to reflect on the evangelizing mission of the Church with respect to the vast and complex phenomenon of emigration and mobility. This year, the following theme was chosen for the commemoration: The pastoral care of migrants, a way to accomplish the mission of the Church today. This is an area that many pastoral agents have at heart for they know quite well the numerous problems that are found there. They also know the various situations that make men and women leave their own country. In fact, mobility that is chosen freely is one thing; mobility caused by ideological, political or economic constraint is an entirely different thing. It is not possible to ignore this in planning and carrying out a suitable pastoral care for the various categories of migrants and itinerant people.

The Dicastery, which has the institutional task of expressing the solicitude of the Church for people involved in the phenomenon, summarizes all of human mobility with the aforementioned terminology. The term "migrant" is intended first of all to refer to refugees and exiles in search of freedom and security outside the confines of their own country. However, it also refers to young people who study abroad and all those who leave their own country to look for better conditions of life elsewhere. The migration phenomenon is in continuous expansion, and this poses questions and challenges to the pastoral action of the Church community. The II Vatican Ecumenical Council, in the Decree Christus Dominus, called for a "special concern … for those among the faithful who, on account of their way or condition of life, cannot sufficiently make use of the common and ordinary pastoral service of parish priests or are totally deprived of it. Among them are very many migrants, exiles and refugees" (no. 18).

In this complex phenomenon, numerous elements come in: the tendency to foster the political and juridical unity of the human family, the noteworthy increase in cultural exchanges, interdependence among States, particularly in the economic sphere, the liberalization of trade and, above all, of capital, the multiplication of multinational enterprises, the imbalance between rich and poor countries, the development of the means of communication and transportation.

2. The interplay of such factors produces the movement of masses from one area of the globe to another. Although in varying forms and degrees, mobility has thus become a general characteristic of mankind. It directly involves many persons and reaches others indirectly. The vastness and complexity of the phenomenon calls for a profound analysis of the structural changes that have taken place, namely the globalization of economics and of social life. The convergence of races, civilizations and cultures within one and the same juridical and social order, poses an urgent problem of cohabitation. Frontiers tend to disappear, distances are shortened, the repercussion of events is felt up to the farthest areas.

We are witnessing a profound change in the way of thinking and living, which cannot but present ambiguous aspects together with the positive elements. The sense of temporariness, for instance, induces one to prefer what is new to the detriment of stability and a clear hierarchy of values. At the same time, the spirit becomes more curious and open, more sensitive and ready for dialogue. In this climate, people may be induced to deepen their own convictions, but also to indulge in superficial relativism. Mobility always implies an uprooting from the original environment, often translated into an experience of marked solitude accompanied by the risk of fading into anonymity. This situation may lead to a rejection of the new environment, but also to accepting it acritically, in contrast to the preceding experience. At times, there could even be a willingness to undergo a passive modernization, which could easily be the source of cultural and social alienation. Human mobility means numerous possibilities to be open, to meet, to assemble; however it is not possible to ignore the fact that it also brings about manifestations of individual and collective rejection, a fruit of closed mentalities that are encountered in societies beset by imbalance and fear.

3. In her pastoral activity, the Church tries to take these serious problems constantly into consideration. The proclamation of the Gospel is directed towards the integral salvation of the human person, his authentic and effective liberation, through the achievement of conditions of life suitable to his dignity. The comprehension of the human being, that the Church acquired in Christ, urges her to proclaim the fundamental human rights and to speak out when they are trampled upon. Thus, she does not grow tired of affirming and defending the dignity of the human person, highlighting the inalienable rights that originate from it. Specifically, these are the right to have one’s own country, to live freely in one’s own country, to live together with one’s family, to have access to the goods necessary for a dignified life, to preserve and develop one’s ethnic, cultural and linguistic heritage, to publicly profess one’s religion, to be recognized and treated in all circumstances according to one’s dignity as a human being.

These rights are concretely employed in the concept of universal common good, which includes the whole family of peoples, beyond every nationalistic egoism. The right to emigrate must be considered in this context. The Church recognizes this right in every human person, in its dual aspect of the possibility to leave one’s country and the possibility to enter another country to look for better conditions of life. Certainly, the exercise of such a right is to be regulated, because practicing it indiscriminately may do harm and be detrimental to the common good of the community that receives the migrant. Before the manifold interests that are interwoven side by side with the laws of the individual countries, it is necessary to have international norms that are capable of regulating everyone’s rights, so as to prevent unilateral decisions that are harmful to the weakest.

In this regard, in the Message for Migrants’ Day of 1993, I called to mind that although it is true that highly developed countries are not always able to assimilate all those who emigrate, nonetheless it should be pointed out that the criterion for determining the level that can be sustained cannot be based solely on protecting their own prosperity, while failing to take into consideration the needs of persons who are tragically forced to ask for hospitality.

4. Through her own pastoral activity, the Church tries her best not let migrants lack the light and the support of the Gospel. In the course of time, her attention towards Catholics who were leaving their country increased. Most of all towards the end of the XIX century, huge masses of Catholic migrants left Europe and navigated across the oceans. Sometimes, they found themselves in conditions that endangered their faith because of the lack of priests and structures. Not knowing the local language, and therefore unable to take advantage of the ordinary pastoral care of the adopted country, they were abandoned to themselves.

Thus, migration was in fact a danger for the faith, and that caused concern in many pastors who, in some cases, even reached the point of discouraging its practice. Later on, however, it became clear that the phenomenon could not be stopped. Thus the Church sought to introduce adequate forms of pastoral action, foreseeing that migration could become an effective way of spreading the faith in other countries. Based on the experience made in the course of the years, the Church later developed an organic pastoral care for emigrants and emanated the Apostolic Constitution Exsul Familia Nazarethana in 1952. Referring to migrants, it affirms that it is necessary to see to it that they receive the same pastoral care and assistance enjoyed by the local Christians, by adapting the structure provided by ordinary pastoral care for the preservation and growth of the faith of the baptized faithful, to the Catholic migrant’s situation.

Subsequently, the II Vatican Council tackled the migration phenomenon in its various expressions: immigrants, emigrants, refugees, exiles, foreign students, put together, from the pastoral point of view, into the category of those who dwell outside their own country and therefore cannot take advantage of ordinary pastoral care. They are described as the faithful who, because they live outside their own country or nation, need specific assistance through a priest who speaks their own language.

We move on from considering the faith that is in danger to more aptly considering the right of the emigrant, to the respect for one’s cultural heritage even in pastoral care. From this perspective, the limit placed by Exsul Familia of giving pastoral assistance only up to the third generation no longer holds, and the right of migrants to receive assistance as long as real need continues to exist, is affirmed.

In effect, migrants do not represent a category comparable to those that make up the parish population – children, youth, married people, laborers, employees, etc. – who are homogeneous in culture and language. They belong to another community, which should receive a pastoral care that bears similarities with that in the country of origin in terms of respect of the cultural heritage, the need for a priest of the same tongue and the need for permanent specific structures. It is necessary to have a stable, personalized and communitarian care of souls, capable of helping the Catholic faithful at a time of emergency, up to their incorporation into the local Church, when they will be in the position to take advantage of the ordinary ministry of priests in the territorial parish.

5. These principles were included in the canonical regulations in force, which have incorporated the pastoral care for migrants in the ordinary pastoral care. Over and above the individual norms, and also as far as the pastoral care of human mobility is concerned, what characterizes the new Code is the ecclesiological inspiration of Vatican II underlying it.

The pastoral care of migrants has thus become an institutionalized activity, addressed to the faithful, considered not so much as individuals, but as members of a particular community for which the Church organizes a specific pastoral service. However, this service is, by its very nature, temporary and transitory, although the law does not set a definite time for its cessation. The organizational structure of such a service is not a substitution but is cumulative with respect to the territorial parochial care, which it is expected to join sooner or later. In fact, although the pastoral care of migrants takes into account the fact that a given community has its own tongue and culture, which cannot be ignored in daily apostolic work, it does not intend to make their preservation and development its specific objective.

6. History shows that in those cases wherein the Catholic faithful were accompanied during their moved to other countries, they did not only preserve their faith, but also found a fertile soil to deepen it, personalize it and bear witness to it through their lives. In the course of the centuries, migration represented a constant means of proclaiming the Christian message in entire regions. Today the picture of migration is radically changing: on one hand, the flow of Catholic migrants is decreasing; on the other hand, there is an increasing flow of non-Christian migrants, who settle in countries where the population is Catholic by majority.

In the Encyclical Redemptoris missio, I called to mind the task of the Church with respect to non-Christian migrants, underlining that by settling down, they create new occasions for contacts and cultural exchanges. These urge the Christian community to welcome, to dialogue, to help and towards fraternity. This presupposes a deeper awareness of the importance of the Catholic doctrine on non-Christian religions (cfr. Decl. Nostra Aetate), so as to be able to undertake an attentive, constant and respectful interreligious dialogue as a means of mutual knowledge and enrichment. "In the light of the economy of salvation," I wrote in the aforementioned Encyclical Redemptoris missio, "the Church sees no conflict between proclaiming Christ and engaging in inter-religious dialogue. Instead she feels the need to link the two in the context of her mission ad gentes. These two elements must maintain both their intimate connection and their distinctiveness; therefore they should not be confused, manipulated or regarded as identical as though they were interchangeable" (no.55).

7. The presence of non-Christian immigrants in countries of ancient Christianity represents a challenge to the Church communities. The phenomenon continues to activate charity in the Church, in terms of welcome and aid for these brothers and sisters in their search for work and housing. Somehow, this action is quite similar to what many missionaries are doing in mission lands. They take care of the sick, the poor, the illiterate. This is the disciple's way: he responds to the expectations and necessities of the neighbor in need, although the fundamental aim of his mission is the proclamation of Christ and his Gospel. He knows that the proclamation of Jesus is the first act of charity towards the human person, over and above any gesture of solidarity, however generous it may be. There is no true evangelization, in fact, "if the name, the teaching, the life, the promises, the kingdom and the mystery of Jesus of Nazareth, the Son of God are not proclaimed." Ap. Exhort. Evangelii nuntiandi, 22).

Sometimes, due to an environment dominated by growing religious relativism and indifferentism, it is difficult for the spiritual dimension of charitable undertakings to emerge. Some people fear that doing charity in view of evangelization could expose them to the accusation of proselytism. Proclaiming and bearing witness to the Gospel of charity constitutes the connective tissue of the mission towards migrants (cfr. Ap. Lett. Novo millennio ineunte, 56).

At this point, I would like to pay homage to the many apostles who have consecrated their existence to this missionary task. I would also like to recall the efforts that the Church has exerted to meet the expectations of migrants. Among them, I am pleased to mention the International Catholic Migration Commission, which will be celebrating the 50th anniversary of its foundation in 2001. In fact, it was instituted in 1951, by initiative of the then Substitute at the Secretariat of State, Msgr. Giovanni Battista Montini. It intended to offer a response to the exigencies of those involved in migratory movements, provoked by the need to re-propose the production machinery, which was damaged by the war, and the tragic situation in which entire populations found themselves. They were forced to move due to the new geopolitical order dictated by the winners. The association’s fifty years of history, with the modifications adopted in order to cope better with changing situations, give witness to how various, attentive and substantial were its activities. Speaking at its inaugural session held on 5 June 1951, the future Pope Paul VI dwelt on the necessity to demolish the obstacles that prevented migration, so as to give the unemployed the possibility to work and the homeless a shelter. He added that the newborn International Commission for Migration’s cause was the very cause of Christ himself. These words have entirely preserved their relevance.

As I give thanks to the Lord for the service it has rendered, I wish that the said Commission would carry on its commitment of attention and aid to refugees and migrants, with a vigor that becomes more and more concerned, the more difficult and uncertain the conditions of these categories of persons appear to be.

8. Today, the proclamation of the gospel of charity to the vast and diversified world of migrants implies a particular attention to the cultural environment. For many persons, going to a foreign country means encountering ways of life and thinking that is foreign to them, that produce different reactions. Cities and nations increasingly present multiethnic and multicultural communities. This is a great challenge for Christians, too. A serene reading of this new situation highlights many values that merit to be greatly appreciated. The Holy Spirit is not conditioned by ethnic groups or cultures. He enlightens and inspires people through many mysterious ways. Through various paths, he brings everyone close to salvation, to Jesus, the Word incarnate, who is "the fulfilment of the yearning of all the world’s religions and, as such, he is their sole and definitive completion" (Ap. Lett. Tertio millennio adveniente, 6).

This reading will surely help the non-Christian migrant see his own religiosity as a strong element of cultural identity, and at the same time it will make it possible for him to discover the values of the Christian faith. To this end, the collaboration of the local Churches and missionaries who know the immigrants’ culture will be useful more than ever. This means establishing links between the community of migrants and those of the countries of origin, and at the same time informing the communities of arrival regarding the cultures and the religions of the immigrants, and the reasons that have caused them to emigrate.

It is important to help the community of arrival not only in being open to charitable hospitality but also to a meeting, collaboration and exchange. Furthermore, it is opportune to open the way to pastoral agents who, from the countries of origin, come to the countries of immigration to work among their fellow countrymen. It would be very useful to institute for them centers of welcome that would prepare them for their new task.

9. This enriching intercultural and inter-religious dialogue presupposes a climate that is permeated with mutual trust and respects religious freedom. Among the sectors to be illuminated by the light of Christ therefore is freedom, particularly religious freedom, which is still at times limited or restricted. It is the premise and guarantee of every other authentic form of freedom. "Religious freedom" - I wrote in Redemptoris Missio - "is not a question of the religion of the majority or the minority, but of an inalienable right of each and every human person" (no. 39).

Freedom is a constitutive dimension of the Christian faith itself, since it is not a transmission of human traditions, or a point of arrival of philosophical discussion, but a free gift of God, which is communicated with due respect for the human conscience. It is the Lord who acts efficaciously through his Spirit; it is He who is the true protagonist. People are instruments that He uses, to each of whom He assigns a singular role.

The Gospel is for everyone. No one is excluded from the possibility of participating in the joy of the divine Kingdom. The mission of the Church today is exactly that of giving every human being, regardless of culture or race, the concrete possibility of meeting Christ. I wholeheartedly wish that this possibility be offered to all migrants and for this, I assure my prayers.

I entrust the commitment and the generous intentions of those who take care of migrants, to Mary, the Mother of Jesus, humble Servant of the Lord, who lived the pains of migration and exile. In the new millennium, may She be the guide of migrants towards Him who is "the real light that gives light to everyone" (Jn 1:9).

With these wishes, I wholeheartedly impart to all agents in this important field of pastoral action a special Apostolic Blessing.

From the Vatican, 2 February 2001

IOANNES PAULUS II

[00248-02.01] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

 1. "Jesucristo es el mismo, ayer, hoy y siempre" (Hb 13,8). Estas palabras del apóstol Pablo, elegidas como lema del Gran Jubileo que acaba de terminar, llaman la atención sobre la misión de Cristo, Verbo encarnado para la salvación del mundo. Fiel a su tarea al servicio del Evangelio, la Iglesia no deja de dirigirse a los hombres de todas las nacionalidades para anunciarles la buena noticia de la salvación.

Con el presente Mensaje para la Jornada Mundial de las Migraciones, quisiera detenerme a reflexionar sobre la misión evangelizadora de la Iglesia respecto a los fenómenos amplios y complejos de la emigración y de la movilidad. Este año se ha elegido para tal celebración el siguiente tema: "La pastoral de los emigrantes, camino para cumplir la misión de la Iglesia, hoy". Se trata de un campo que interesa profundamente a los agentes de pastoral, pues ellos son conscientes de los múltiples problemas que se deben afrontar en ese ámbito y de las distintas situaciones que llevan a hombres y mujeres a dejar su propio país. Una es la movilidad elegida libremente, y otra es la que nace de haber sido forzados por motivos ideológicos, políticos o económicos. Esto no se puede dejar de tener en cuenta en la elaboración y realización de una actividad pastoral apropiada para las categorías de los emigrantes y de los itinerantes.

Con esta denominación, el Dicasterio que tiene la tarea institucional de expresar la solicitud de la Iglesia hacia las personas implicadas en tal fenómeno resume toda la movilidad humana. Con el término de "emigrantes" se hace referencia, en primer lugar, a los prófugos y exiliados en busca de libertad y de seguridad fuera de las fronteras de la propia patria, pero igualmente a los jóvenes que estudian en el exterior y a todos aquellos que dejan el propio país para buscar en otro lugar mejores condiciones de vida. El fenómeno de las migraciones está en continua expansión; esto plantea interrogantes y desafíos para la acción pastoral de la comunidad eclesial. Ya el Concilio Ecuménico Vaticano II, en el Decreto Christus Dominus, invitaba a que se tuviera una "solicitud particular por los fieles que, por la condición de su vida, no pueden gozar suficientemente del cuidado pastoral, común y ordinario de los párrocos o carecen totalmente de él, como son la mayor parte de los emigrantes, los exiliados y prófugos" (n. 18).

En este fenómeno complejo intervienen múltiples elementos: la tendencia a favorecer la unidad jurídica y política de la familia humana; el notable incremento de los intercambios culturales; la interdependencia económica de los Estados; la liberalización del comercio y sobre todo de los capitales; la multiplicación de las empresas multinacionales; el desequilibrio entre países ricos y países pobres; el desarrollo de los medios de comunicación y de transporte.

2. El entramado de todos esos elementos produce un movimiento de masas de una zona a otra del planeta. Aunque en distintos grados y formas, la movilidad ha llegado a ser una característica general de la humanidad, que abarca directamente a muchas personas y se refleja en otras. La amplitud y la complejidad del fenómeno invitan a un profundo análisis de los cambios estructurales que se han producido, como la globalización de la economía y de la vida social. La convergencia de razas, civilizaciones y culturas, en los mismos ordenamientos jurídicos y sociales, plantea un problema urgente de convivencia. Las fronteras tienden a caer, las distancias se acortan, los acontecimientos se repercuten aun en las zonas más lejanas.

Estamos asistiendo a un cambio profundo de la manera de pensar y de vivir, que no deja de presentar, junto a elementos positivos, también aspectos ambiguos. El sentido de lo provisional invita, por ejemplo, a preferir las novedades, a veces en menoscabo de la estabilidad y de una clara jerarquía de valores; al mismo tiempo, el espíritu se hace más curioso y disponible, más sensible y listo al diálogo. En este clima, el hombre puede verse llevado a profundizar las propias convicciones, pero también a caer en un fácil relativismo. La movilidad implica siempre un desarraigo del ambiente originario, que se traduce con frecuencia en una experiencia de gran soledad, con el peligro de perderse en el anonimato. De estas situaciones se puede desprender el rechazo al nuevo contexto, pero también una aceptación acrítica, en polémica con la experiencia anterior. A veces incluso aflora la disponibilidad a actualizarse pasivamente, lo que es una fácil fuente de alienación cultural y social. Los movimientos humanos implican múltiples posibilidades de apertura, encuentro y agregación, pero no se puede ignorar que también suscitan manifestaciones de rechazo individual y colectivo, fruto de esas mentalidades cerradas que se hallan en las sociedades afectadas por desequilibrios y temores.

3. La Iglesia, en su actividad pastoral, procura tener constantemente presentes estos graves problemas. El anuncio del Evangelio se propone la salvación integral del hombre y su auténtica y efectiva liberación, logrando condiciones adecuadas a su dignidad. El conocimiento del hombre, que la Iglesia ha adquirido en Cristo, la impulsa a anunciar los derechos humanos fundamentales y a hacer oír su propia voz cuando éstos se ven atropellados. Por eso no se cansa de afirmar y defender la dignidad de la persona, destacando los derechos irrenunciables que de ella se desprenden. Éstos son, en particular, el derecho a tener una propia patria; a vivir libremente en el propio país; a vivir con la propia familia; a disponer de los bienes necesarios para llevar una vida digna; a conservar y desarrollar el propio patrimonio étnico, cultural y lingüístico; a profesar la propia religión, y a ser reconocido y tratado, en toda circunstancia, conforme a la propia dignidad de ser humano.

Estos derechos encuentran una aplicación concreta en el concepto de bien común universal. Éste abarca toda la familia de los pueblos, por encima de cualquier egoísmo nacionalista. En este contexto, precisamente, se debe considerar el derecho a emigrar. La Iglesia lo reconoce a todo hombre, en el doble aspecto de la posibilidad de salir del propio país y la posibilidad de entrar en otro, en busca de mejores condiciones de vida. Desde luego, el ejercicio de ese derecho ha de ser reglamentado, porque una aplicación indiscriminada ocasionaría daño y perjuicio al bien común de las comunidades que acogen al migrante. Ante la afluencia de tantos intereses al lado de las leyes de los distintos países, es preciso que existan normas internacionales capaces de establecer los derechos de cada uno, para impedir decisiones unilaterales que podrían ser perjudiciales para los más débiles.

A este respecto, en el Mensaje para la Jornada del Emigrante de 1993, recordé que, si bien es cierto que los países altamente desarrollados no siempre pueden absorber a todos los que emigran, hay que reconocer, sin embargo, que el criterio para determinar el límite de soportabilidad no puede ser la simple defensa del propio bienestar, descuidando las necesidades reales de quienes tristemente se ven obligados a solicitar hospitalidad.

4. La Iglesia, a través de su actividad pastoral, se preocupa porque no falte a los emigrantes la luz y el apoyo del Evangelio. Con el tiempo, ha ido aumentando su atención por los católicos que dejan su propio país. De Europa salían, sobre todo a fines del siglo XIX, masas enormes de emigrantes católicos que atravesaban el océano, con el peligro de perder la propia fe por falta de sacerdotes y de estructuras adecuadas. Al no conocer el idioma local, y sin poder, por tanto, beneficiarse de la atención pastoral ordinaria, se veían abandonados a sí mismos.

La emigración constituía, pues, de hecho, un peligro para la fe; esta era una grave preocupación para muchos Pastores, que llegaban, en algunos casos, incluso a poner trabas para su desarrollo. Más adelante, se vio claramente que el fenómeno no se podía detener. La Iglesia trató, entonces, de poner en marcha formas adecuadas de intervención pastoral, intuyendo que las migraciones podían ser un medio eficaz para la difusión de la fe en otros países. Sobre la base de la experiencia madurada en el transcurso de los años, la Iglesia elaboró una pastoral orgánica para asistir a los emigrantes y emanó la Constitución apostólica Exsul Familia Nazarethana. En ella se afirmaba que se debe tratar de garantizar a los emigrantes la misma atención y asistencia pastoral de la que gozan los cristianos del lugar, adaptando a la situación del emigrante católico la estructura de la pastoral ordinaria prevista para la preservación y desarrollo de la fe de los bautizados.

Sucesivamente, el Concilio Vaticano II afronta el fenómeno de las migraciones en sus distintas articulaciones: inmigrados, emigrados, prófugos, exiliados, estudiantes extranjeros, reuniéndolos, desde un punto de vista pastoral, en la categoría de aquellos que, al residir fuera de su propia patria, no pueden gozar del cuidado pastoral común y ordinario. Y los describe como fieles que, por vivir fuera de su propia patria o nación, necesitan la asistencia específica de un sacerdote del mismo idioma.

Se pasa de la consideración sobre la fe que está en peligro, a aquella más apropiada del derecho del emigrante al respeto, también en la atención pastoral, de su propio patrimonio cultural. Con esta perspectiva queda eliminado el límite, puesto por la Exsul Familia, de la asistencia pastoral hasta la tercera generación, y se afirma el derecho a la asistencia a los emigrantes hasta que tengan una necesidad real.

Los emigrantes no representan, en efecto, una categoría comparable a aquellas en las que está articulada la población parroquial - niños, jóvenes, personas casadas, obreros, empleados, etc. - que presentan una homogeneidad cultural y lingüística. Ellos forman parte de otra comunidad, a la que se aplica una pastoral con elementos semejantes a los del país de origen por lo que se refiere al respeto del patrimonio cultural, a la necesidad de un sacerdote del mismo idioma y a la exigencia de estructuras específicas permanentes. Se precisa una cura de almas estable, personalizada y comunitaria, capaz de ayudar a los fieles católicos en tiempo de emergencia, hasta su inserción en la Iglesia local, cuando serán capaces de valerse del ministerio ordinario de los sacerdotes en las parroquias territoriales.

5. Estos principios han sido acogidos en el ordenamiento canónico vigente, que ha introducido la pastoral de los emigrantes en la pastoral ordinaria. Más allá de las normas individuales, lo que caracteriza al nuevo Código, también en lo que respecta a la movilidad humana, es la inspiración eclesiológica del Concilio Vaticano II.

La atención pastoral a los emigrantes ha llegado a ser, pues, un actividad institucionalizada, que se dirige al fiel, considerado no tanto como individuo, sino como miembro de una comunidad particular para la cual la Iglesia organiza un servicio pastoral específico; éste, sin embargo, es, por su misma naturaleza, provisional y transitorio, aunque la ley no establezca de modo perentorio ningún término para que cese. La estructura organizativa de ese servicio no es sustitutiva, sino cumulativa respecto a la cura parroquial territorial, en la cual, según se prevé, tarde o temprano puede confluir. En efecto, la pastoral de los emigrantes, aunque tenga en cuenta que una determinada comunidad posee su propia lengua y cultura, que no han de ser ignoradas en el trabajo apostólico diario, no se propone, sin embargo, como propio objetivo específico, su conservación y desarrollo.

6. La historia enseña que cuando los fieles católicos han tenido un acompañamiento en su trasplante a otros países, no sólo han conservado la fe, sino que han encontrado un terreno fértil para profundizarla, personalizarla y dar testimonio de ella con su vida. En el transcurso de los siglos, las migraciones han representado un instrumento constante de anuncio del mensaje cristiano en enteras regiones. Hoy, el panorama de las migraciones va cambiando radicalmente: por un lado, disminuyen los flujos de emigrantes católicos; por el otro, aumentan los de emigrantes no cristianos que se van a establecer en países con mayoría católica.

En la Encíclica Redemptoris missio he recordado la tarea de la Iglesia hacia los emigrantes no cristianos, poniendo de relieve cómo ellos crean, con su instalación, nuevas ocasiones de contactos e intercambios culturales que impulsan a la comunidad cristiana que los acoge al diálogo, a la ayuda y a la fraternidad. Esto supone una toma de conciencia más viva de la importancia de la doctrina católica respecto a las religiones no cristianas (cfr. Nostra Aetate) para mantener un atento, constante y respetuoso diálogo interreligioso que ayude a un conocimiento y a un enriquecimiento recíprocos. "A la luz de la economía de la salvación, la Iglesia no ve un contraste entre el anuncio de Cristo y el diálogo interreligioso; sin embargo, siente la necesidad de compaginarlos en el ámbito de su misión ad gentes. En efecto, conviene que estos dos elementos mantengan su vinculación íntima y, al mismo tiempo, su distinción, por lo cual no deben ser confundidos, ni instrumentalizados, ni tampoco considerados equivalentes, como si fueran intercambiables" (n. 55).

7. La presencia de inmigrantes no cristianos en los países de antigua tradición cristiana representa un desafío para las comunidades eclesiales. Es un fenómeno que fomenta en la Iglesia la caridad, por lo que se refiere a la acogida y ayuda a estos hermanos y hermanas en la búsqueda de trabajo y de vivienda. Se trata, en cierto modo, de una acción bastante semejante a la que muchos misioneros realizan en tierra de misiones, atendiendo a los enfermos, a los pobres y a los analfabetas. He aquí el estilo del discípulo: va al encuentro de las expectativas y exigencias del prójimo necesitado. Objetivo fundamental de su misión es, de todos modos, el anuncio de Cristo y de su Evangelio. Él sabe que el anuncio de Jesucristo es el primer acto de caridad hacia el hombre, más allá de cualquier gesto de generosa solidaridad. No existe una verdadera evangelización, en efecto, "mientras no se anuncie el nombre, la doctrina, la vida, las promesas, el reino, el misterio de Jesús de Nazaret Hijo de Dios" (Exhortación apostólica Evangelii nuntiandi, 22).

A veces, debido a un ambiente dominado por un indiferentismo y relativismo religioso siempre más difundido, la dimensión espiritual del compromiso caritativo se manifiesta con dificultad. Surge, además, en algunos, el temor de que el ejercicio de la caridad, con miras a la evangelización, pueda estar expuesto a la acusa de proselitismo. Anunciar y testimoniar el evangelio de la caridad constituye el tejido conectivo de la misión con los emigrantes (cfr. Carta apostólica Novo millennio ineunte, 56).

Quisiera, aquí, rendir homenaje a los muchos apóstoles que han dedicado su existencia a esta tarea misionera y recordar también los esfuerzos de la Iglesia para satisfacer las expectativas de los emigrantes. Entre ellos, deseo mencionar la Comisión Católica Internacional para las Migraciones, de cuya fundación se celebra el cincuentenario en el 2001. La Comisión nació en 1951 por iniciativa del entonces Sustituto de la Secretaría de Estado, Mons. Giovanni Battista Montini. Se proponía ofrecer una respuesta a las exigencias de los movimientos migratorios ante el reto de la necesidad de un nuevo lanzamiento del apartato productivo, puesto en peligro por la guerra y por la situación dramática en que se encontraban enteras poblaciones, obligadas a desplazarse debido al nuevo orden geopolítico impuesto por los vencedores. Los cincuenta años de historia de esta asociación, con las adaptaciones que se realizaron para hacer frente a los cambios de las situaciones, dan testimonio de su multiforme, atenta y substancial actividad. El futuro Pontífice Pablo VI, en su intervención con motivo de la sesión de inauguración, el 5 de junio, 1951, contemplaba la necesidad de derribar los obstáculos que impedían las migraciones para dar posibilidad de trabajo a los desocupados y un refugio a los sin techo, agregando que la causa de la recién nacida Comisión Internacional para las Migraciones era la misma causa de Cristo. Son palabras que mantienen toda su actualidad.

Mientras doy gracias al Señor por el servicio prestado, quiero expresar el deseo de que dicha Comisión pueda seguir en su empeño de prestar atención y ayuda a los refugiados y a los emigrantes, con un vigor tanto más solícito, en cuanto más difíciles e inciertas se muestran las condiciones de esas categorías de personas.

8. El anuncio del evangelio de la caridad al amplio y diversificado mundo de los emigrantes comporta, hoy, una atención especial al ámbito de la cultura. Para muchos de ellos, viajar a países extranjeros significa encontrar modos de vivir y de pensar que les son ajenos, que producen distintas reacciones. Las ciudades y las naciones presentan siempre más comunidades multiétnicas y multiculturales. Es éste un gran desafío para los cristianos. Una lectura serena de esta nueva situación pone de relieve muchos valores que merecen gran aprecio. El Espíritu Santo no está condicionado por las etnias o las culturas, e ilumina e inspira a los hombres por muchos caminos misteriosos. Él, por distintas vías, acerca a todos a la salvación, a Cristo, Verbo encarnado, que es "el cumplimiento del anhelo de todas las religiones del mundo y, por ello mismo, es su única y definitiva culminación" (Carta apostólica Tertio millennio adveniente, 6).

Esta lectura ayudará, desde luego, al emigrante no cristiano, a ver en la propia religiosidad un fuerte elemento de identidad cultural y, al mismo tiempo, podrá darle la capacidad de descubrir los valores de la fe cristiana. Con ese objeto, es de gran utilidad la colaboración de las Iglesias locales y de los misioneros que conocen la cultura de los inmigrados. Se trata de establecer una comunicación entre las comunidades de emigrantes y las de los países de origen, informando, al mismo tiempo, a las comunidades receptoras acerca de las culturas y las religiones de los inmigrados, y los motivos que los han impulsado a emigrar.

Es importante ayudar a las comunidades receptoras, no sólo a abrirse a una hospitalidad caritativa, sino también al encuentro, a la colaboración y al intercambio de ideas; es oportuno, además, preparar el camino a agentes de pastoral que lleguen de los países de origen a los países de inmigración a trabajar entre sus compatriotas. Sería muy útil establecer para ellos centros de acogida que los preparen a sus nuevas tareas.

9. Este diálogo intercultural e interreligioso tan enriquecedor supone un clima de confianza mutua y de respeto por la libertad religiosa. Entre los sectores que se han de iluminar con la luz de Cristo está, por consiguiente, el de la libertad, en particular de la libertad religiosa - algunas veces todavía limitada o coartada - que es premisa y garantía de toda otra forma auténtica de libertad. "La libertad religiosa... - escribía en la Redemptoris missio - no es un problema de la religión de mayoría o de minoría, sino más bien un derecho inalienable de toda persona humana" (n. 39).

La libertad es una dimensión constitutiva de la misma fe cristiana, ya que ésta no es la transmisión de tradiciones humanas o el punto de llegada de argumentaciones filosóficas, sino un don gratuito de Dios, que se comunica en el respeto de la conciencia humana. El Señor es quien actúa eficazmente con su Espíritu; Él es el verdadero protagonista. Los hombres son instrumentos de los que Él se sirve, asignando a cada uno su propio papel.

El Evangelio es para todos: nadie queda excluído de la posibilidad de participar en la gloria del Reino divino. La misión de la Iglesia, hoy, consiste precisamente en hacer posible, de modo concreto, a todo ser humano, sin diferencias de cultura o de raza, el encuentro con Cristo. Deseo de todo corazón que sea ofrecida esta posibilidad a todos los emigrantes y me comprometo a orar por esto.

Confío el compromiso y los propósitos generosos de todos los que atienden a los emigrantes a María, Madre de Jesús, la humilde esclava del Señor que experimentó las penas de la emigración y del exilio. Ella guíe a los emigrantes del nuevo milenio hacia Aquél que es "la luz verdadera que ilumina a todo hombre" (Jn 1,9).

Con esos votos, imparto una especial Bendición Apostólica a todos los que trabajan en este importante campo de actividad pastoral.

IOANNES PAULUS II

[00248-04.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

 1. «Jesus Cristo é o mesmo, ontem, hoje e sempre» (Hb 13, 8). Estas palavras do apóstolo Paulo, escolhidas como lema do Grande Jubileu há pouco concluído, evocam a missão de Jesus, Verbo encarnado para a salvação do mundo. Fiel ao seu dever no serviço do Evangelho, a Igreja continua a aproximar-se dos homens de todas as nacionalidades para lhes dirigir o alegre anúncio da salvação.

Com a presente Mensagem, por ocasião da Jornada Mundial das Migrações, quero deter-me a reflectir sobre a missão evangelizadora da Igreja, em relação aos fenómenos vastos e complexos da emigração e da mobilidade. Este ano, para esta ocorrência, foi escolhido o tema: A pastoral para os Migrantes, caminho para a realização da missão da Igreja hoje. Este é um problema que está bem no coração dos agentes pastorais, que estão bem conscientes dos múltiplos problemas que se encontram e das diversas situações que levam homens e mulheres a deixar o próprio País. De facto, uma é a mobilidade livremente escolhida, outra a que nasce de um constrangimento de natureza ideológica, política ou económica. Não se pode deixar de ter isso em conta na programação e realização de uma actividade pastoral apropriada para as diversas categorias dos migrantes e dos itinerantes.

Com esta denominação, o Dicastério que tem o dever institucional de exprimir a solicitude da Igreja pelas pessoas envolvidas em tal fenómeno resume toda a mobilidade humana. Por isso, com o termo «migrantes» deseja referir-se em primeiro lugar aos refugiados e exilados à procura de liberdade e de segurança fora dos limites da própria pátria; mas, depois, também aos jovens que estudam no estrangeiro e a quantos deixam o próprio País para procurar noutro lado uma melhor condição de vida. O fenómeno da migração está em contínua expansão, e isto põe interrogações e desafios à acção pastoral da Comunidade eclesial. O Concílio Ecuménico do Vaticano II, no Decreto Christus Dominus, já convidava a uma «preocupação especial pelos fiéis que, devido às suas condições de vida, não podem usufruir suficientemente do cuidado pastoral ordinário dos párocos, ou estão completamente privados dele, como acontece a muitos emigrantes, exilados e refugiados» (n. 18).

Neste complexo fenómeno intervêm múltiplos elementos: a tendência a favorecer a unidade jurídica e política da família humana, o notável incremento das permutas culturais, interdependência especialmente económica dos Estados, a liberalização do comércio e sobretudo dos capitais, a multiplicação das empresas multinacionais, o desequilíbrio entre os Países ricos e os Países pobres, o desenvolvimento dos meios de comunicação e de transportes.

2. O conjunto de tais elementos produz um movimento de massas de uma zona para outra do planeta. Mesmo se em formas e medidas diferentes, a mobilidade tornou-se assim uma característica geral da humanidade, que envolve directamente muitas pessoas e atinge outras por reflexo. A vastidão e a complexidade do fenómeno convidam a uma análise aprofundada das mudanças estruturais que acontecem, como as da globalização da economia e da vida social. A convergência de raças, civilizações e culturas no interior dos próprios ordenamentos jurídicos e sociais põe um problema urgente de convivência. As fronteiras tendem a cair, encurtam-se as distâncias, os acontecimentos fazem sentir as suas próprias repercussões mesmo nas zonas mais longínquas.

Estamos a assistir a uma mudança profunda do modo de pensar e de viver, que não pode deixar de apresentar, ao lado de elementos positivos, aspectos ambíguos também. O sentido do provisório convida, por exemplo, a preferir os aspectos de novidade, às vezes com prejuízo da estabilidade e de uma clara hierarquia de valores; ao mesmo tempo, o espírito torna-se mais curioso e disponível, mais sensível e pronto para o diálogo. Neste clima o homem pode ser induzido a aprofundar as próprias convicções, mas também a ser condescendente com um fácil relativismo. A mobilidade comporta sempre um desenraizamento do ambiente originário, que se traduz mesmo numa experiência de acentuada solidão, com o risco de uma dispersão no anonimato. Destas situações pode derivar a recusa do novo contexto, mas também a sua aceitação acrítica, em polémica com a experiência precedente. Por vezes, aflora também a disponibilidade para uma actualização passiva, que é facilmente fonte de alienação cultural e social. As deslocações humanas comportam múltiplas possibilidades de abertura, de encontro, de agregação, mas não se pode ignorar que elas suscitam puras manifestações de recusa individual e colectiva, fruto de mentalidades fechadas que se verificam nas sociedades atormentadas por desequilíbrios e medos.

3. A Igreja na sua actividade pastoral procura ter constantemente presentes estes graves problemas. O anúncio do Evangelho vai directo à salvação do homem, à sua autêntica e efectiva libertação, mediante a realização de condições apropriadas à sua dignidade. O conhecimento do homem, que a Igreja adquiriu em Cristo, impele-a a anunciar os direitos humanos fundamentais e a fazer sentir a sua voz quando eles são violados. Ela porém, não se cansa de afirmar e defender a dignidade da pessoa, pondo a descoberto os direitos irrenunciáveis que dela brotam. Esses são, em particular, o direito a ter uma pátria própria, a viver livremente no próprio País, a conviver com a própria família, a dispor dos bens necessários para uma vida digna, a conservar e a desenvolver o próprio património étnico, cultural e linguístico, a professar publicamente a própria religião, a ser reconhecido e tratado em qualquer circunstância em conformidade com a dignidade própria do ser humano.

Estes direitos encontram uma concreta aplicação no conceito de bem comum universal. Isso abrange toda a família dos povos, acima de todo o egoísmo nacionalista. É neste contexto que se considera o direito de emigrar. A Igreja reconhece-o a cada homem no duplo aspecto da possibilidade de sair do próprio País e a possibilidade de entrar num outro à procura de melhores condições de vida. Certamente, o exercício de tal direito deve ser regulamentado, porque uma sua aplicação indiscriminada originaria danos e prejuízos ao bem comum das comunidades que acolhem os migrantes. Frente ao emaranhado de muitos interesses, ao lado das leis de cada País, são precisas normas internacionais capazes de regulamentar os direitos de cada um, assim como para impedir decisões unilaterais com prejuízo dos mais fracos.

A este respeito, na Mensagem do Dia do Migrante de 1993, recordei que, se é verdade que os Países altamente desenvolvidos nem sempre estão em condições de absorver todos os que emigram, todavia temos de reconhecer que o critério para determinar o limite do suportável não pode ser a simples defesa do próprio bem-estar, esquecendo as necessidades reais de quem é dramaticamente constrangido a pedir hospitalidade.

4. Mediante a sua própria actividade pastoral, a Igreja esforça-se para não deixar faltar aos migrantes a luz e a força do Evangelho. No decurso dos tempos, foi crescendo a sua atenção para com os católicos que abandonavam o próprio País. A partir da Europa, sobretudo até ao final do século XIX, massas enormes de migrantes católicos sulcavam o oceano, vindo a encontrar-se às vezes em condições de perigo para a sua fé, por causa da carência de sacerdotes e de estruturas. Ignorantes da língua do lugar, e por isso sem possibilidades de tirar proveito do cuidado pastoral ordinário da nação de adopção, eles ficavam abandonados a si mesmos.

A migração, assim, constituía de facto um perigo para a fé, e isso despertava preocupações em muitos Pastores que, em alguns casos, chegavam até a desencorajar o seu desenvolvimento. Porém, em seguida, tornou-se claro que o fenómeno não podia ser detido. A Igreja procurou, então, iniciar formas adequadas de intervenção pastoral, descobrindo que as migrações podiam tornar-se uma via eficaz para a difusão da fé noutros Países. Na base da experiência amadurecida ao longo dos anos, a Igreja elaborou uma pastoral orgânica para a assistência aos emigrados e emanou em 1952 a Constituição Apostólica Exsul Familia Nazarethana. Nela se afirmava que, no que diz respeito aos migrantes, se deve procurar assegurar o mesmo cuidado e assistência pastoral de que gozam os cristãos do lugar, adaptando à situação do migrante católico a estrutura da pastoral ordinária prevista para a preservação e o crescimento da fé dos baptizados.

A seguir, o Concílio Vaticano II enfrentou o fenómeno das migrações na suas várias articulações: imigrados, emigrados, refugiados, exilados, estudantes estrangeiros, associados sob o ponto de vista pastoral na categoria de quantos, residindo fora da sua pátria, não podem valer-se do cuidado pastoral ordinário. Esses vêm descritos como fiéis que, encontrando-se a residir fora da própria pátria ou nação, têm necessidade de uma assistência específica através de um sacerdote da sua própria língua. Passa-se da consideração da fé em perigo para uma outra situação mais adequada, que é a do direito do emigrante a respeito do próprio património cultural, mesmo no cuidado pastoral. Nesta perspectiva se situa também o limite, posto pela Exsul Familia, da assistência pastoral mesmo à terceira geração e se afirma o direito à assistência aos migrantes, enquanto dela tiverem uma verdadeira necessidade.

Os migrantes não representam, com efeito, uma categoria comparável àquelas em que se articula a população paroquial - crianças, jovens, esposos, operários, empregados, etc. - que apresentam uma homogeneidade cultural e linguística. São parte de uma outra comunidade, a quem se aplica uma pastoral com elementos semelhantes aos do País de origem em tudo o que diz respeito ao património cultural, à necessidade de um sacerdote da própria língua e à exigência de estruturas específicas permanentes. É necessário um estável cuidado de almas, personalizado e comunitário, capaz de ajudar os fiéis católicos num tempo de emergência, até à sua inserção na Igreja local, quando estiverem em grau de se valerem do ministério ordinário dos sacerdotes nas paróquias territoriais.

5. Estes princípios foram aceites no ordenamento canónico vigente, que inseriu a pastoral para os migrantes na pastoral ordinária. Para lá das normas particulares, o que caracteriza o novo Código, também para quanto diz respeito à pastoral da mobilidade humana, é a inspiração eclesiológica do Concílio Vaticano II que lhe está subentendida.

O cuidado pastoral dos migrantes tornou-se assim, uma actividade institucionalizada que se dirige ao fiel, considerado não tanto como uma pessoa individual mas como membro de uma comunidade particular, para a qual a Igreja organiza um serviço pastoral específico. Isto, todavia, é por sua natureza provisório e transitório, ainda que as leis não estabeleçam de modo peremptório nenhum limite para o seu termo. A estrutura organizadora de tal serviço não é substitutiva, mas cumulativa no que diz respeito ao cuidado paroquial territorial, para o qual se prevê que, mais cedo ou mais tarde, possa convergir. De facto, a pastoral para os migrantes, mesmo tendo em conta o facto de que uma determinada comunidade tem uma língua e uma cultura próprias, que não podem ser ignoradas no trabalho apostólico de cada dia, todavia não se propõem como objectivo próprio e específico a sua conservação e desenvolvimento.

6. A história mostra que onde os fiéis católicos foram acompanhados na sua mudança para outros Países, não só conservaram a fé, mas até encontraram um terreno fértil para a aprofundar, personalizar e testemunhar com a vida. No decurso dos séculos, as migrações representaram um constante veículo de anúncio da mensagem cristã em regiões inteiras. Hoje, o quadro das migrações vai mudando radicalmente: por um lado diminuem os fluxos de migrantes católicos, por outro aumentam os de migrantes não cristãos que vão estabelecer-se em Países de maioria católica.

Na Encíclica Redemptoris missio recordei o dever da Igreja a respeito dos migrantes não cristãos, pondo em evidência como eles originam, com a sua instalação, novas ocasiões de contactos e mudanças culturais, que estimulam a Comunidade cristã ao acolhimento, diálogo, ajuda e fraternidade. Isto supõe uma mais viva tomada de consciência da importância da doutrina católica sobre as religiões não cristãs (cf. Declaração Nostra aetate), de modo a poder manter um atento, constante e respeitoso diálogo inter-religioso, como meio para um conhecimento e um enriquecimento recíproco. «À luz do plano de salvação - escrevia na citada Encíclica Redemptoris missio - a Igreja não vê contraste entre o anúncio de Cristo e o diálogo inter-religioso; sente necessidade, porém, de os conjugar no âmbito da sua missão ad gentes. De facto, é necessário que esses dois elementos mantenham o seu vínculo íntimo e, ao mesmo tempo, a sua distinção, para que não sejam confundidos, instrumentalizados, nem considerados equivalentes a ponto de se poderem substituir entre si» (n. 55).

7. A presença de imigrados não cristãos em Países de antiga cristandade representa um desafio para as Comunidades eclesiais. É um fenómeno que continua a pôr em acção na Igreja a caridade enquanto olha de novo o acolhimento e a ajuda a respeito destes irmãos e irmãs à procura de trabalho e alojamento. É, em certo modo, uma acção muito semelhante àquela que muitos missionários realizam em terras de missão, ocupando-se dos doentes, dos pobres e dos analfabetos. É este o estilo do discípulo: ele vem ao encontro das esperanças e necessidades do próximo carenciado. O fim fundamental da sua missão é, porém, o anúncio de Cristo e do seu Evangelho. Ele sabe que o anúncio de Jesus é o primeiro acto de caridade para com o homem, para lá de qualquer gesto, mesmo de generosa solidariedade. Não haverá uma evangelização verdadeira «se o nome, a doutrina, a vida, as promessas, o Reino, o mistério de Jesus de Nazaré, filho de Deus, não forem anunciados» (Exortação Apostólica Evangelii nuntiandi, 22).

Às vezes, por causa de um ambiente dominado por um indiferentismo e relativismo religioso cada vez mais espalhados, custa a aparecer a dimensão espiritual do compromisso caritativo. Do mesmo modo surge em alguns o temor de que o exercício da caridade na perspectiva da evangelização os possa expor à acusação de proselitismo. Anunciar e testemunhar o evangelho da caridade constitui o tecido conectivo da missão dirigida aos migrantes (cf. Carta Apostólica Novo millennio ineunte, 56).

Quero aqui prestar homenagem a tantos apóstolos que consagraram a sua existência a este dever missionário. Quero, também, recordar os esforços que a Igreja desenvolveu para vir ao encontro das expectativas dos migrantes. Entre estes, apraz-me recordar a Comissão Católica Internacional para as Migrações, cujo cinquentenário de fundação ocorre em 2001. Nasceu, efectivamente, em 1951 por iniciativa do então Substituto da Secretaria de Estado, Mons. Giovanni Battista Montini. Ela desejava dar uma resposta às exigências dos movimentos migratórios provocados pela necessidade do relançamento do aparelho produtivo comprometido pela guerra e pela situação dramática em que se vieram a encontrar populações inteiras obrigadas a deslocar-se por causa da nova ordem geopolítica ditada pelos vencedores. Os cinquenta anos de história daquela associação, com as adaptações adoptadas para melhor fazer frente ao variar das situações, testemunham quanto se tornou multiforme, atenta e fundamental a sua actividade. Intervindo na sessão inaugural realizada a 5 de Junho de 1951, o futuro Pontífice Paulo VI detinha-se sobre a necessidade de abater os obstáculos que impediam as migrações para dar possibilidade de trabalho aos desempregados e um refúgio aos desalojados, acrescentando que a causa da recém nascida Comissão Internacional para as Migrações era a própria causa de Cristo. São palavras que conservam por inteiro a sua actualidade.

Enquanto dou graças ao Senhor pelo serviço prestado, exprimo o desejo de que a dita Comissão possa continuar no seu compromisso de atenção e de ajuda aos refugiados e migrantes com um vigor tanto mais solícito quanto mais difíceis e incertas se mostram as condições destas categorias de pessoas.

8. O anúncio do evangelho da caridade ao vasto e diversificado mundo dos migrantes comporta hoje uma especial atenção ao campo da cultura. Para muitos deles, partir para Países estrangeiros significa encontrar modos de viver e de pensar que lhes são estranhos, que produzem reacções diversas. As cidades e nações apresentam cada vez mais comunidades multiétnicas e multiculturais. Este é um grande desafio também para os cristãos. Uma serena leitura desta nova situação põe a claro muitos valores merecedores de grande apreço. O Espírito Santo não é condicionado por etnias ou culturas e ilumina e inspira os homens por muitos caminhos misteriosos. Ele, por caminhos diversos, aproxima-os a todos da salvação, de Jesus Verbo encarnado, que é «o cumprimento do anseio de todas as religiões do mundo e constitui-os por isso mesmo, o seu único e definitivo ponto de chegada» (Tertio millennio adveniente, 6).

Esta leitura ajudará seguramente o migrante não cristão a ver na própria religiosidade um forte elemento de identidade cultural e, ao mesmo tempo, poderá torná-lo capaz de descobrir os valores da fé cristã. Para tal finalidade, torna-se muito mais útil a colaboração das Igrejas locais e dos missionários que conhecem a cultura dos imigrados. Trata-se de estabelecer ligações entre as comunidades de migrantes e as dos Países de origem, informando ao mesmo tempo as comunidades de chegada sobre as culturas e religiões dos imigrados e os motivos que os levaram a emigrar.

É importante ajudar as comunidades de chegada não só a abrir-se à hospitalidade caritativa, mas também ao encontro, à colaboração e à permuta; é oportuno, além disso, abrir caminho aos agentes pastorais que venham dos Países de origem para os Países de imigração para trabalhar entre os seus concidadãos. Para isso seria muito mais útil a formação de centros de acolhimento que os preparem para os seus novos deveres.

9. Este enriquecedor diálogo intercultural e inter-religioso supõe um clima impregnado de mútua confiança e respeitador da liberdade religiosa. Entre os sectores a iluminar com a luz de Cristo está, por consequência, o da liberdade, em particular o da liberdade religiosa, às vezes ainda limitada e coarctada, que é premissa e garantia de todas as outras formas autênticas de liberdade. «A liberdade religiosa - escrevia na Redemptoris missio - não se trata de um problema de religião de maioria ou minoria, mas de um direito inalienável de toda a pessoa humana» (n. 39).

A liberdade é uma dimensão constitutiva da própria fé cristã, não sendo esta uma transmissão de tradições humanas ou ponto de chegada de argumentações filosóficas, mas dom gratuito de Deus, que se comunica no respeito pela consciência humana. É o Senhor que actua eficazmente com o seu Espírito; é Ele o verdadeiro protagonista. Os homens são instrumentos de que Ele se serve, atribuindo a cada um a sua missão.

O Evangelho é para todos: ninguém é excluído da possibilidade de participar na alegria do Reino divino. A missão da Igreja, hoje, é propriamente a de tornar concretamente possível a cada ser humano, sem diferença de cultura ou de raça, o encontro com Cristo. Faço votos de todo o coração para que esta possibilidade seja oferecida a todos os migrantes e para isso garanto a minha oração.

Confio o compromisso e os generosos propósitos de quantos se dedicam aos migrantes a Maria, Mãe de Jesus, a humilde Serva do Senhor, que sofreu as penas da emigração e do exílio. Seja Ela a guiar os migrantes do novo milénio para Aquele que é «a luz verdadeira, que ilumina todos os homens» (Jo 1, 9).

Com tais votos, a todos os trabalhadores neste importante campo de acção pastoral concedo do coração uma especial Bênção Apostólica.

Vaticano, 2 de Fevereiro de 2001.

IOANNES PAULUS II

[00248-06.01] [Texto original: Italiano]