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CAPPELLA PAPALE PER LA CHIUSURA DELLA PORTA SANTA A CONCLUSIONE DEL GRANDE GIUBILEO DELL’ANNO 2000 NELLA SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA, 06.01.2001


Alle ore 9.30 di oggi il Santo Padre Giovanni Paolo II procede alla chiusura della Porta Santa della Patriarcale Basilica Vaticana e celebra - in Piazza San Pietro - la Santa Messa della Solennità dell’Epifania del Signore.

Il Papa giunge in processione all’atrio della Basilica Vaticana e, in ginocchio, sosta in silenzio sulla soglia della Porta Santa, prima di chiuderne i due battenti. La processione con il Libro dei Vangeli si avvia quindi all’altare sul sagrato della Basilica Vaticana, per la celebrazione eucaristica.

Nel corso della Santa Messa concelebrata con i Cardinali e con gli Arcivescovi, Vescovi e Presbiteri membri del Comitato Centrale del Grande Giubileo dell’Anno 2000, Giovanni Paolo II firma la Lettera Apostolica "Novo millennio ineunte".

La Celebrazione Eucaristica si conclude con il canto del Te Deum in ringraziamento alla Santissima Trinità per il dono del Grande Giubileo dell’Anno 2000.

Riportiamo di seguito il testo dell’omelia che il Papa pronuncia dopo la proclamazione del Santo Vangelo e l’annuncio del giorno della Pasqua:

OMELIA DEL SANTO PADRE

1. "Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra!". Questa acclamazione, or ora ripetuta nel Salmo responsoriale, esprime molto bene il significato della Solennità dell'Epifania che oggi celebriamo. Insieme essa getta luce anche sull'odierno rito di chiusura della Porta Santa.

"Ti adoreranno, Signore...": è una visione che ci parla di futuro, ci fa guardare lontano. Viene evocata l'antica profezia messianica, che si realizzerà pienamente quando Cristo Signore tornerà glorioso alla fine della storia. Essa tuttavia ha avuto una prima realizzazione, storica e insieme profetica, quando i Magi vennero a Betlemme portando i loro doni. Fu l'inizio della manifestazione di Cristo – appunto la sua "epifania" – ai rappresentanti dei popoli del mondo.

È una profezia che si va gradatamente attuando nel corso del tempo, a mano a mano che l'annuncio evangelico si espande nei cuori degli uomini e si radica in tutte le regioni della terra. Il Grande Giubileo non è stato forse una sorta di "epifania"? Venendo qui a Roma, o recandosi in pellegrinaggio anche altrove nelle tante Chiese giubilari, innumerevoli persone si sono poste in qualche modo sulle orme dei Magi, alla ricerca di Cristo. La Porta Santa non è che il simbolo di questo incontro con Lui. È Cristo la vera "Porta Santa", che ci apre l'accesso alla casa del Padre e ci introduce nell'intimità della vita divina.

2. "Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra!". Qui soprattutto, nel centro della cattolicità, l'imponente afflusso di pellegrini provenienti da tutti i continenti ha offerto quest'anno un'immagine eloquente del cammino dei popoli verso Cristo. Si è trattato di persone delle più svariate categorie, venute col desiderio di contemplare il volto di Cristo e di ottenerne la misericordia.

"Il Cristo ieri e oggi / Principio e Fine / Alfa e Omega. / A Lui appartengono il tempo / e i secoli. / A Lui la gloria e il potere / per tutti i secoli in eterno" (Liturgia della Veglia pasquale). Sì, è quest'inno che il Giubileo, nell'orizzonte suggestivo del passaggio ad un nuovo millennio, ha voluto innalzare a Cristo, Signore della storia, a duemila anni dalla sua nascita. Oggi si conclude ufficialmente quest'anno straordinario, ma restano i doni spirituali che in esso sono stati effusi; continua quel grande "anno di grazia" che Cristo inaugurò nella sinagoga di Nazaret (cfr Lc 4, 18-19) e che durerà fino alla fine dei tempi.

Mentre oggi si chiude, con la Porta Santa, un "simbolo" di Cristo, resta più che mai aperto il Cuore di Cristo. Egli continua a dire all'umanità bisognosa di speranza e di senso: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed io vi ristorerò" (Mt 11, 28). Al di là delle numerose celebrazioni ed iniziative che lo hanno contraddistinto, è l'esperienza viva e consolante dell'"incontro con Cristo" la grande eredità che il Giubileo ci lascia.

3. Desideriamo quest'oggi farci voce del grazie e della lode di tutta la Chiesa. Per questo, al termine di questa celebrazione, canteremo un solenne Te Deum di ringraziamento. Il Signore ha compiuto meraviglie per noi, ci ha colmati di misericordia. Dobbiamo oggi far nostro il sentimento di letizia provato dai Magi, nel loro cammino verso Cristo: "Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia". Soprattutto dobbiamo imitarli mentre depongono ai piedi del Bimbo divino non solo i loro doni, ma la loro vita.

In quest'Anno giubilare la Chiesa ha cercato di svolgere con più grande impegno, per i suoi figli e per l'umanità, la funzione della stella che orientò i passi dei Magi. La Chiesa non vive per se stessa, ma per Cristo. Intende essere la "stella" che fa da punto di riferimento, aiutando a trovare il cammino che porta a Lui.

Nella teologia patristica si amava parlare della Chiesa come del "mysterium lunae", per sottolineare che essa, come la luna, non brilla di luce propria, ma riflette Cristo, il suo Sole. Mi piace ricordare che proprio con questo pensiero si apre la Costituzione dogmatica sulla Chiesa del Concilio Vaticano II: "Cristo è la luce delle genti", "lumen gentium"! E i Padri conciliari continuavano esprimendo il loro ardente desiderio di "illuminare tutti gli uomini con la luce di Cristo che si riflette sul volto della Chiesa" (n. 1).

Mysterium lunae: il Grande Giubileo ha fatto vivere alla Chiesa un'esperienza intensa di questa sua vocazione. È Cristo che essa ha additato in quest'anno di grazia, riecheggiando ancora una volta le parole di Pietro: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna!" (Gv 6, 68).

4. "Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra!". Questa universalità della chiamata dei popoli a Cristo si è quest'anno manifestata in modo più vistoso. Persone di ogni continente e di ogni lingua si sono date convegno in questa Piazza. Tante voci si sono qui levate nel canto, come sinfonia di lode e annuncio di fraternità.

Non potrei certo in questo momento ricordare gli svariati incontri che abbiamo vissuto. Mi vengono in mente i bambini che hanno inaugurato il Giubileo con la loro irrefrenabile festosità, e i giovani che hanno conquistato Roma con il loro entusiasmo e la serietà della loro testimonianza. Penso alle famiglie, che hanno proposto un messaggio di fedeltà e di comunione così necessario al nostro mondo, e agli anziani, agli ammalati e ai disabili, che hanno saputo offrire un'eloquente testimonianza della speranza cristiana. Ho davanti agli occhi il Giubileo di coloro che, nel mondo della cultura e della scienza, con dedizione quotidiana attendono alla ricerca della verità.

Il pellegrinaggio che duemila anni fa vide i Magi venire dall'Oriente fino a Betlemme, alla ricerca di Cristo appena nato, è stato quest'anno ripetuto da milioni e milioni di discepoli di Cristo, qui venuti non con "oro, incenso e mirra", ma portando il proprio cuore ricco di fede e bisognoso di misericordia.

5. Per questo la Chiesa oggi gode, vibrando all'appello di Isaia: "Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce... Cammineranno i popoli alla tua luce" (Is 60, 1.3). Non v'è, in questo sentimento di gioia, nessun vuoto trionfalismo. E come potremmo cadere in questa tentazione, proprio al temine di un anno così intensamente penitenziale? Il Grande Giubileo ci ha offerto un'occasione provvidenziale per compiere la "purificazione della memoria", chiedendo perdono a Dio per le infedeltà compiute, in questi duemila anni, dai figli della Chiesa.

Davanti a Cristo crocifisso, abbiamo ricordato che, a fronte della grazia sovrabbondante che rende la Chiesa "santa", noi figli suoi siamo largamente segnati dal peccato, e gettiamo ombra sul volto della Sposa di Cristo: nessuna auto-esaltazione, dunque, ma grande coscienza dei nostri limiti e delle nostre debolezze. Non possiamo, tuttavia, non vibrare di gioia, di quella gioia interiore a cui il profeta ci invita, ricca di gratitudine e di lode, perché fondata sulla coscienza dei doni ricevuti e sulla certezza dell'amore perenne di Cristo.

6. Ora è tempo di guardare avanti, e il racconto dei Magi può in certo senso indicarci una rotta spirituale. Essi ci dicono innanzitutto che, quando si è incontrato Cristo, occorre saper sostare e vivere profondamente la gioia dell'intimità con Lui. "Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua Madre, e prostratisi lo adorarono": la loro vita era ormai per sempre consegnata a quel Bimbo per il quale avevano affrontato le asprezze del viaggio e le insidie degli uomini. Il cristianesimo nasce, e continuamente si rigenera, a partire da questa contemplazione della gloria di Dio che rifulge sul volto di Cristo.

Un volto da contemplare, quasi intravedendo nei suoi occhi i "lineamenti" del Padre e lasciandosi avvolgere dall'amore dello Spirito. Il grande pellegrinaggio giubilare ci ha ricordato questa fondamentale dimensione trinitaria della vita cristiana: in Cristo incontriamo anche il Padre e lo Spirito. La Trinità è l'origine e il compimento. Tutto parte dalla Trinità, tutto torna alla Trinità.

E tuttavia, come avvenne per i Magi, questa immersione nella contemplazione del mistero non ci impedisce di camminare, anzi ci obbliga a ripartire per un nuovo tratto di cammino nel quale ci facciamo annunciatori e testimoni. "Per un'altra strada fecero ritorno al loro paese". I Magi furono in qualche modo i primi missionari. L'incontro con Cristo non li bloccò a Betlemme, ma li spinse nuovamente per le strade del mondo. Occorre ripartire da Cristo, e per ciò stesso, ripartire dalla Trinità

7. Proprio questo ci viene chiesto, carissimi Fratelli e Sorelle, come frutto del Giubileo che oggi si chiude.

In funzione di questo impegno che ci attende, firmerò tra poco la Lettera Apostolica "Novo millennio ineunte", nella quale propongo alcune linee di riflessione che possono aiutare tutta la comunità cristiana a "ripartire" con rinnovato slancio dopo l'impegno giubilare. Certo, non si tratta di organizzare, nel breve periodo, altre iniziative di grandi proporzioni. Si torna nell'impegno ordinario, ma questo è tutt'altro che un riposo. Occorre anzi trarre dall'esperienza giubilare gli insegnamenti utili per dare al nuovo impegno un'ispirazione e un orientamento efficaci.

8. Consegno queste linee di riflessione alle Chiese particolari, quasi come "eredità" del Grande Giubileo, perché le valorizzino all'interno della loro programmazione pastorale. C'è urgente bisogno innanzitutto di tesoreggiare l'impulso alla contemplazione di Cristo, che l'esperienza di quest'anno ci ha dato. Dentro il volto umano del Figlio di Maria riconosciamo il Verbo fatto carne, nella pienezza della sua divinità e della sua umanità. I più insigni artisti – in Oriente e Occidente - si sono cimentati col mistero di quel Volto. Ma esso è soprattutto il Volto che lo Spirito, divino "iconografo", disegna nei cuori di quanti lo contemplano e lo amano. Occorre "ripartire da Cristo", con lo slancio della Pentecoste, con entusiasmo rinnovato. Ripartire da Lui innanzitutto nell'impegno quotidiano della santità, ponendoci in atteggiamento di preghiera e in ascolto della sua parola. Ripartire poi da Lui per testimoniarne l'Amore, attraverso una pratica della vita cristiana segnata dalla comunione, dalla carità, dalla testimonianza nel mondo. E' questo il programma che consegno nella presente Lettera Apostolica. Esso si potrebbe ridurre ad una sola parola: "Gesù Cristo!".

All'inizio del mio Pontificato, e poi ancora tante volte, ho gridato ai figli della Chiesa e al mondo: "Aprite, spalancate le porte a Cristo". Desidero gridarlo ancora, al termine di questo Giubileo, all'inizio di questo nuovo millennio. "Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!".

9. "Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra!". Questa profezia si realizza già nella Gerusalemme celeste, dove tutti i giusti del mondo, e specialmente tanti Testimoni della fede, sono misteriosamente raccolti in quella santa città in cui non vi è più sole, perché il suo sole è l'Agnello. Lassù angeli e santi uniscono la loro voce per cantare le lodi di Dio.

La Chiesa pellegrina sulla terra, nella sua liturgia, nel suo annuncio del Vangelo, nella sua testimonianza, si fa eco ogni giorno di quel canto celeste. Voglia il Signore che essa, nel nuovo millennio, cresca sempre più nella santità, per essere nella storia vera "epifania" del volto misericordioso e glorioso di Cristo Signore. Così sia!

[00032-01.01] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

1. "Tous les peuples de la terre t'adoreront, Seigneur !" Cette acclamation, qui vient d’être reprise dans le psaume responsorial, exprime très bien le sens de la solennité de l'Épiphanie que nous célébrons en ce jour. En même temps, elle jette aussi une lumière sur le rite de clôture de la Porte Sainte.

"T'adoreront, Seigneur..." : c'est une vision qui nous parle d'avenir, qui nous fait regarder au loin. Elle évoque l'ancienne prophétie messianique qui se réalisera pleinement quand le Christ Seigneur reviendra dans la gloire à la fin de l'histoire. Cependant, elle a connu une première réalisation, historique et en même temps prophétique, quand les Mages vinrent à Bethléem en apportant leurs dons. Ce fut le commencement de la manifestation du Christ – précisément son "épiphanie" – aux représentants des peuples du monde.

C'est une prophétie qui se réalise progressivement au cours du temps, à mesure que l'annonce évangélique se répand dans le cœur des hommes et s'enracine dans toutes les régions de la terre. Le grand Jubilé n'a-t-il pas été une sorte "d'épiphanie" ? Venant ici à Rome, ou se rendant aussi en pèlerinage ailleurs dans les nombreuses églises jubilaires, d'innombrables personnes ont marché en quelque sorte sur les pas des Mages, à la recherche du Christ. La Porte sainte n'est que le symbole de cette rencontre avec lui. La vraie "Porte sainte", c’est le Christ, qui nous ouvre la porte de la maison du Père et qui nous introduit dans l'intimité de la vie divine.

2. "Tous les peuples de la terre t'adoreront, Seigneur !" Ici surtout, au centre de la catholicité, l'afflux imposant de pèlerins provenant de tous les continents a donné cette année une image éloquente du cheminement des peuples vers le Christ. Il s'agissait de personnes de catégories les plus diverses, venues avec le désir de contempler le visage du Christ et d'obtenir sa miséricorde.

"Le Christ, hier et aujourd'hui, commencement et fin de toutes choses, Alpha et Oméga; à lui, le temps et l'éternité, à lui, la gloire et la puissance pour les siècles sans fin" (Liturgie de la Veillée pascale). Oui, c'est cette hymne que le Jubilé, dans la perspective suggestive du passage à un nouveau millénaire, a voulu faire monter vers le Christ, Seigneur de l'histoire, deux mille ans après sa naissance. Aujourd'hui se conclut officiellement cette année extraordinaire, mais les dons spirituels qui y ont été répandus demeurent; cette grande "année de grâce", que le Christ a inaugurée dans la synagogue de Nazareth (cf. Lc 4, 18-19), continue, et elle durera jusqu'à la fin des temps.

Tandis qu'aujourd'hui se ferme, avec la Porte sainte, un "symbole" du Christ, le Cœur du Christ demeure plus que jamais ouvert. Il continue à dire à l'humanité, qui a besoin d'espérance et de sens : "Venez à moi, vous tous qui peinez sous le poids du fardeau, et moi, je vous procurerai le repos" (Mt 11, 28). Au-delà des nombreuses célébrations et initiatives qui l'ont marquée, l'expérience vivante et consolante de la "rencontre avec le Christ" est le grand héritage que le Jubilé nous laisse.

3. Nous désirons aujourd'hui nous faire les porte-parole du remerciement et de la louange de toute l'Église. C’est pourquoi, à la fin de cette célébration, nous chanterons un solennel Te Deum d'action de grâce. Le Seigneur a accompli des merveilles pour nous, il nous a comblés de miséricorde. Nous devons aujourd'hui faire nôtres les sentiments de joie éprouvés par les Mages dans leur marche vers le Christ : "Quand ils virent l'étoile, ils éprouvèrent une très grande joie". Nous devons surtout les imiter alors qu'ils déposent aux pieds de l'Enfant divin non seulement leurs dons, mais leur vie.

En cette Année jubilaire, l'Église a cherché à développer avec un plus grand engagement, pour ses fils et pour l'humanité, la fonction de l'étoile qui orienta les pas des Mages. L'Église ne vit pas pour elle-même, mais pour le Christ. Elle entend être "l'étoile" qui tient lieu de point de repère, pour aider à trouver le chemin qui conduit vers lui.

Dans la théologie patristique, on aimait parler de l'Église comme du "mysterium lunae", pour souligner que, comme la lune, elle ne brille pas de sa propre lumière, mais qu'elle reflète le Christ, son Soleil. J'aime rappeler que c'est par cette pensée que s'ouvre la Constitution dogmatique sur l'Église du Concile Vatican II : "Le Christ est la lumière des nations", "Lumen gentium !" ! Et les Pères conciliaires continuaient en exprimant leur ardent désir "de faire briller sur tous les hommes la clarté du Christ qui resplendit sur le visage de l'Église" (n. 1).

Mysterium lunae : le grand Jubilé a fait vivre à l'Église une expérience intense de cette vocation qui est la sienne. C'est le Christ qu'elle a désigné en cette année de grâce, rappelant encore une fois les paroles de Pierre : "Seigneur, vers qui pourrions-nous aller ? Tu as les paroles de la vie éternelle !" (Jn 6, 68).

4. "Tous les peuples de la terre t'adoreront, Seigneur !" Cette universalité de l'appel du Christ aux peuples s'est manifestée cette année de manière plus visible. Des personnes de tous continents et de toutes langues se sont donné rendez-vous sur cette Place. De nombreuses voix se sont élevées ici en chantant, comme une symphonie de louange et une annonce de fraternité.

Je ne pourrais certes pas en ce moment évoquer les rencontres très diverses que nous avons vécues. Certaines me viennent à l'esprit: les enfants, qui ont inauguré le Jubilé par leur irrésistible sens de la fête, et les jeunes, qui ont conquis Rome par leur enthousiasme et le sérieux de leur témoignage. Je pense aux familles, qui ont proposé un message de fidélité et de communion si nécessaire à notre monde, et aux personnes âgées, aux malades et aux personnes handicapées, qui ont su donner un témoignage éloquent d'espérance chrétienne. Je vois encore le Jubilé de ceux qui, dans le monde de la culture et de la science, avec une assiduité quotidienne s'appliquent à la recherche de la vérité.

Le pèlerinage qui, il y a deux mille ans, vit les Mages venir d'Orient jusqu'à Bethléem, à la recherche du Christ qui venait de naître, a été refait cette année par des millions et des millions de disciples du Christ, venus ici non pas avec "de l'or, de l'encens et de la myrrhe", mais en offrant leur cœur riche de foi et avide de miséricorde.

5. C’est pourquoi, aujourd'hui, l'Église se réjouit, vibrant à l'appel d'Isaïe : "Debout, resplendis, elle est venue, ta lumière... Les nations marcheront vers ta lumière" (Is 60, 1. 3). Dans ces sentiments de joie il n'y a aucun vain triomphalisme. Comment pourrions-nous d’ailleurs succomber à une telle tentation au terme d'une année si intensément pénitentielle ? Le grand Jubilé nous a donné une occasion providentielle pour réaliser la "purification de la mémoire", en demandant pardon à Dieu pour les infidélités accomplies, au cours de ces deux mille ans, par les fils de l'Église.

Devant le Christ crucifié, nous avons rappelé que, en regard de la grâce surabondante qui rend l'Église "sainte", nous, ses fils, sommes largement marqués par le péché et nous jetons une ombre sur le visage de l'Épouse du Christ : aucune "auto-exaltation" donc, mais une grande conscience de nos limites et de nos faiblesses. Cependant, nous ne pouvons pas ne pas vibrer de joie, de cette joie intérieure à laquelle le prophète nous invite, empreinte de gratitude et de louange, parce qu’elle est fondée sur la conscience des dons reçus et sur la certitude de l'amour permanent du Christ.

6. Il est temps maintenant de regarder en avant, et le récit des Mages peut en un sens nous indiquer une route spirituelle. Ils nous disent avant tout que, quand on a rencontré le Christ, il faut savoir s'arrêter et vivre profondément la joie de l'intimité avec lui. "En entrant dans la maison, ils virent l'enfant avec Marie sa mère; et, tombant à genoux, ils se prosternèrent devant lui": leur vie était désormais pour toujours remise entre les mains de cet Enfant pour lequel ils avaient affronté les âpretés du voyage et les embûches des hommes. Le christianisme naît, et il se régénère continuellement, à partir de la contemplation de la gloire de Dieu qui brille sur le visage du Christ.

Un visage à contempler, comme si on entrevoyait dans ses yeux les "traits" du Père et que l’on se laissait envelopper de l'amour de l'Esprit. Le grand pèlerinage jubilaire nous a rappelé cette dimension trinitaire fondamentale de la vie chrétienne : dans le Christ nous rencontrons aussi le Père et l'Esprit. La Trinité est l'origine et l'accomplissement. Tout part de la Trinité, tout retourne à la Trinité.

Et cependant, comme il advint pour les Mages, cette immersion dans la contemplation du mystère ne nous empêche pas de marcher; elle nous oblige au contraire à repartir pour un nouveau bout de chemin au cours duquel nous nous faisons annonciateurs et témoins. "Ils regagnèrent leur pays par un autre chemin". Les Mages ont été en quelque sorte les premiers missionnaires. La rencontre avec le Christ ne les a pas arrêtés à Bethléem, mais elle les a lancés à nouveau sur les chemins du monde. Il faut repartir du Christ, et pour cela aussi, repartir de la Trinité.

7. C'est précisément cela qui nous est demandé, chers Frères et Sœurs, comme fruit du jubilé qui s'achève aujourd'hui.

En fonction de cet engagement qui nous attend, je signerai tout à l'heure la Lettre apostolique "Novo millennio ineunte", dans laquelle je propose quelques éléments de réflexion qui pourront aider toute la communauté chrétienne à "repartir" avec un élan renouvelé après les efforts jubilaires. Certes, il ne s'agit pas d'organiser, à brève échéance, d'autres initiatives de grande proportion. On retrouve la vie de tous les jours, mais c’est loin d’être du repos. Il faut plutôt tirer de l'expérience jubilaire les enseignements utiles pour donner à notre nouvel engagement une inspiration et une orientation efficaces.

8. Je confie ces éléments de réflexion aux Églises particulières, comme un héritage du grand Jubilé, pour qu'elles en tirent profit dans leurs programmes pastoraux. Il est avant tout urgent de tirer profit de la soif de la contemplation du Christ, que l'expérience de cette année nous a donnée. Dans le visage humain du Fils de Marie, nous reconnaissons le Verbe fait chair, dans la plénitude de sa divinité et de son humanité. Les artistes les plus éminents – en Orient et en Occident – ont affronté le mystère de ce visage. Mais il est surtout le visage que l'Esprit, "iconographe" divin, dessine dans les cœurs de ceux qui le contemplent et qui l'aiment. Il faut "repartir du Christ" avec l'élan de la Pentecôte, avec un enthousiasme renouvelé. Repartir de lui avant tout par les efforts quotidiens de sainteté, en nous mettant dans une attitude de prière et à l'écoute de sa parole. Repartir de lui aussi pour témoigner de son Amour, à travers une pratique de la vie chrétienne marquée par la communion, par la charité, par le témoignage dans le monde. Tel est le programme que je propose dans la présente Lettre apostolique. Il pourrait se réduire à une seule parole : "Jésus Christ !"

Au début de mon pontificat, et bien souvent par la suite, j'ai crié aux fils de l'Église et au monde : "Ouvrez, ouvrez toutes grandes les portes au Christ". Je désire le crier encore, au terme de ce Jubilé, au commencement de ce nouveau millénaire.

9. "Tous les peuples de la terre t'adoreront, Seigneur !" Cette prophétie se réalise déjà dans la Jérusalem céleste, où tous les justes du monde, spécialement de nombreux Témoins de la foi, sont mystérieusement réunis en cette cité sainte dans laquelle il n'y a plus de soleil, car son soleil, c’est l'Agneau. Là-haut, les anges et les saints unissent leurs voix pour chanter les louanges de Dieu.

L'Église en pèlerinage sur la terre se fait chaque jour l'écho de ce chant céleste, dans sa liturgie, dans son annonce de l'Évangile, dans son témoignage. Fasse le Seigneur que, dans le nouveau millénaire, elle grandisse toujours plus en sainteté, pour être dans l'histoire une véritable "épiphanie" du visage miséricordieux et glorieux du Christ Seigneur ! Amen.

[00032-03.01] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

1. "All the peoples of the earth will adore you, O Lord!" This acclamation from the Responsorial Psalm expresses very well the meaning of the Solemnity of the Epiphany which we are celebrating today. It also sheds light on today’s rite of the closing of the Holy Door.

"All the peoples of the earth will adore you, O Lord!" This is a vision which speaks to us of the future, it makes us look far ahead. There is an evocation of the ancient messianic prophecy, which will fully come to pass when Christ the Saviour returns in glory at the end of history. However the prophecy has had a first fulfilment, which is both historical and prophetic, when the Wise Men came to Bethlehem, bearing their gifts. Here was the beginning of the manifestation of Christ – his "epiphany" precisely – to those who represented the peoples of the world.

This is a prophecy which is being fulfilled by degrees in the course of time, according as the Gospel proclamation penetrates the hearts of people and is planted in every part of the world. Was not the Great Jubilee a kind of epiphany? By coming here to Rome or by going on pilgrimage elsewhere in the many Jubilee Churches, countless individuals in a sense set out in the footsteps of the Wise Men in search of Jesus. The Holy Door is simply the symbol of the meeting with him. It is Christ who is the true "Holy Door"; it is he who makes it possible for us to enter the Father’s house and who introduces us into the intimacy of the divine life.

2. "All the peoples of the earth will adore you, O Lord!" Here especially, in the centre of Catholicism, the impressive flow of pilgrims from all continents have given us this year a vivid image of the journey of the world’s peoples towards Christ. All kinds of people came, all with the desire to contemplate the face of Christ and to obtain his mercy.

"Christ yesterday and today / the beginning and the end / Alpha and Omega; / all time belongs to him, / and all the ages; / to him be glory and power / through every age for ever" (Liturgy of the Easter Vigil). Yes, this is the hymn that the Jubilee, in the evocative context of the transition to the new millennium, wished to raise to Christ, Lord of history, two thousand years after his birth. Today this extraordinary year officially closes, but the spiritual gifts poured out during the year remain; the great "year of the Lord’s favour", which Christ began in the Synagogue of Nazareth (cf. Lk 4:18-19) and which will endure to the end of time, continues.

While today we close the Holy Door, a "symbol of Christ", the Heart of Jesus remains more open than ever. He continues to say to a humanity in need of hope and meaning: "Come to me, all who labour and are heavy laden, and I will give you rest" (Mt 11:28). Apart from the numerous celebrations and initiatives which have marked it, the great legacy which the Jubilee leaves us is the living and consoling experience of "meeting Christ".

3. Today, I wish to express the gratitude and praise of the whole Church. For this reason, at the end of this celebration, we shall sing a solemn Te Deum of thanksgiving. The Lord has worked marvels for us, he has filled us with his mercy. Today we must make our own the happiness which filled the Wise Men on their journey to Christ: "When they saw the star they rejoiced exceedingly with great joy" (Mt 2:10). Above all, we must imitate them as they place at the Child’s feet not only their gifts but also their lives.

For the sake of her children and all humanity, the Church has sought in this Jubilee year to be more resolute in fulfilling the role which the star fulfilled in guiding the Wise Men on their journey. The Church lives not for herself, but for Christ. She wants to be the "star", the point of reference which helps people find the path which leads to him.

The theology of the Fathers loved to speak of the Church as mysterium lunae, in order to emphasize that, like the moon, she shines not with her own light, but reflects Christ, who is her Sun. And I gladly recall that this is how the Second Vatican Council’s Dogmatic Constitution on the Church begins: "Christ is the light of the nations, lumen gentium!" And the Council Fathers went on to express their burning desire to "enlighten all people with the light of Christ reflected on the face of the Church" (No. 1).

Mysterium lunae: the Great Jubilee has enabled the Church to live with special intensity this vocation of hers. It is to Christ that she has pointed in this year of grace, echoing once more the words of Peter: "Lord, to whom shall we go? You have the words of eternal life!" (Jn 6:68).

4. "All the peoples of the earth will adore you, O Lord!" The universality of the call of the nations to Christ has been made more strikingly evident this year. People of every continent and language have come together in this Square. Countless voices have been raised here in song, as a symphony of praise and a proclamation of brotherhood.

Of course I cannot mention at this moment all the many different gatherings that have taken place. But I remember the children who opened the Jubilee with their abounding sense of celebration, and the young people who conquered Rome with their enthusiasm and the earnestness of their witness. I think of the families, who presented a message of faithfulness and communion, so necessary in our world, and of the elderly, the sick and the handicapped, who offered such an eloquent testimony of Christian hope. I think of the Jubilee of those in the world of culture and learning who are daily engaged in the search for truth.

The pilgrimage which two thousand years ago led the Wise Men from the East to Bethlehem, in search of the new-born Christ, has been repeated this year by millions and millions of Christ’s disciples, who have come here not with "gold, frankincense and myrrh" but bringing their own hearts, rich in faith and in need of mercy.

5. For this reason the Church rejoices today, exulting in the summons of Isaiah: "Arise, shine forth, for your light has come... And nations shall come to your light" (Is 60:1, 3). This sense of joy contains no vain triumphalism. How could we possibly succumb to this temptation, precisely at the end of such an intensely penitential year? The Great Jubilee has offered us an extraordinary opportunity to carry out "the purification of memories", seeking God’s forgiveness for the infidelities of the Church’s children during these two thousand years.

Before Christ crucified we remembered that, in contrast to the overflowing grace which makes the Church "holy", we her children are deeply marked by sin, and cast a shadow upon the face of the Bride of Christ: no self-exaltation therefore but a deep sense of our limitations and weaknesses. Yet we cannot but be filled with joy, with that inner joy to which the Prophet calls us, a joy rich in thanksgiving and praise, because it is based on our awareness of the gifts received and our certainty of Christ’s enduring love.

6. Now it is time to look to the future, and the story of the Wise Men can in a certain way give us our spiritual bearings. First of all, they tell us that when we encounter Christ, we must learn to stop and experience deeply the joy of intimacy with him. "When they entered the house, they saw the child with Mary his mother, and bowing down they worshipped him": from now on their lives would be for ever given to the Child for whom they had endured the rigours of the journey and the deceitfulness of men. Christianity is born, and continually draws new life, from this contemplation of the glory of God shining on the face of Christ.

A face to be contemplated, seeing in his eyes the "features" of the Father and allowing ourselves to be filled with the Spirit’s love. The great Jubilee pilgrimage has reminded us of this fundamental Trinitarian aspect of the Christian life: in Christ we also meet the Father and the Spirit. The Trinity is the origin and the fulfilment. From the Trinity all things come, and to the Trinity all things return.

And yet, as in the case of the Wise Men, this immersion in contemplation of the mystery does not stop us from journeying on, indeed it compels us to start out afresh on a new stage of the journey on which we become proclaimers and heralds. "They returned to their own country by a different way". The Wise Men were in a sense the first missionaries. Their encounter with Christ did not keep them in Bethlehem, but made them set out anew on the paths of the world. We need to set out anew from Christ and, in so doing, to set out anew from the Trinity.

7. This is precisely what is asked of us, dear Brothers and Sisters, as the fruit of the Jubilee which concludes today.

In connection with this commitment which awaits us, in a short while I will sign the Apostolic Letter Novo millennio ineunte, in which I offer some reflections which can help the whole Christian community to "set out" with fresh enthusiasm after the Jubilee event. Of course, it is not a question of organizing, in the short term, other major initiatives. We return to our normal activities, but this is something quite different from taking a rest. Rather, we need to draw from the experience of the Jubilee useful lessons which can give inspiration and effective direction to our new commitment.

8. I offer these reflections to the particular Churches, as a sort of "legacy" of the Great Jubilee, so that the Churches can incorporate them in their pastoral planning. There is an urgent need first of all to build on the desire to contemplate Jesus Christ which the experience of this year has given us. In the human face of the Son of Mary we recognize the Word made flesh, in the fullness of his divinity and his humanity. The greatest artists – of East and West – have striven to capture the mystery of that Face. But is the Spirit, the divine "iconographer", who etches that Face in the hearts of all who contemplate him and love him. We need to "set out anew from Christ", with the zeal of Pentecost, with renewed enthusiasm. To set out from him above all in a daily commitment to holiness, with an attitude of prayer and of listening to his word. To set out from him in order to testify to his Love by living a Christian life marked by communion, charity, and witness before the world. This is the programme which I suggest in the present Apostolic Letter. It can all be reduced to one word: "Jesus Christ!".

At the very beginning of my Pontificate, and countless times since, I have exclaimed to the sons and daughters of the Church and to the world: "Open wide the doors to Christ". I wish to do so yet again, at the conclusion of this Jubilee, at the beginning of this new millennium.

9. "All the peoples of the earth will adore you, O Lord!". This prophecy is already fulfilled in the heavenly Jerusalem, where all the just of the world, and especially so the many witnesses to the faith, are mysteriously gathered in that holy city where the sun is no more, since the Lamb is its sun. There above, angels and saints join their voices in singing the praises of God.

The pilgrim Church on earth, in her Liturgy, in her proclamation of the Gospel, in her witness, echoes each day that heavenly song. May the Lord grant that, in the new millennium, the Church will grow ever more in holiness, that she may become in history a true epiphany of the merciful and glorious face of Christ the Lord. Amen!

[00032-02.01] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

1. "Huldigen werden dir, Herr, alle Völker der Erde!". Diese Anrufung, die wir soeben im Antwortpsalm wiederholt haben, drückt sehr schön den Sinn des Hochfestes der Erscheinung des Herrn aus, das wir heute feiern. Gleichzeitig wirft sie auch Licht auf den heutigen Ritus der Schließung der Heiligen Pforte.

"Huldigen werden dir, Herr, ...": Das ist eine Vision, die uns von der Zukunft erzählt. Sie läßt uns weit blicken. Es klingt die alte messianische Prophezeiung auf, die sich in Fülle verwirklichen wird, wenn unser Herr Jesus Christus am Ende der Geschichte in Herrlichkeit wiederkommen wird. Das messianische Wort kennt jedoch schon eine erste Verwirklichung, die in die Geschichte eingeflochten und zugleich prophetisch ist: Die Magier kamen nach Betlehem und brachten ihre Geschenke dar. Das war der Anfang der Offenbarung Jesu Christi - seine "Epiphanie" vor den Vertretern der Völker der Erde.

Es handelt sich um eine Prophetie, die sich Schritt um Schritt im Laufe der Zeit verwirklicht. Es geschieht nach und nach, indem die Botschaft des Evangeliums sich in den Herzen der Menschen ausbreitet und in allen Gebieten der Erde Wurzeln schlägt. War nicht das Große Jubiläum eine Art "Epiphanie"? Unzählige Menschen sind hierher nach Rom gekommen oder haben auch anderswo eine Wallfahrt zu den vielen Jubiläumskirchen unternommen. Dadurch sind sie in gewisser Weise in die Fußstapfen der Magier getreten und haben sich auf die Suche nach Jesus Christus begeben. Die Heilige Pforte ist nur ein Symbol für diese Begegnung mit Ihm. Christus ist die wahre "Heilige Pforte", die uns den Zugang eröffnet zum Haus des Vaters und uns einführt in die Vertrautheit des göttlichen Lebens.

2. "Huldigen werden dir, Herr, alle Völker der Erde!". Vor allem hier im Zentrum der katholischen Welt hat der beeindruckende Zustrom von Pilgern, die aus allen Kontinenten kamen, in diesem Jahr ein sprechendes Bild für den Weg abgegeben, den die Völker auf Christus hin gehen. Es handelte sich um Personen unterschiedlichster Art, die bei ihrem Kommen der Wunsch erfüllte, das Antlitz Christi zu betrachten und davon Barmherzigkeit zu erlangen.

"Christus, gestern und heute / Anfang und Ende / Alpha und Omega. / Sein ist die Zeit / und die Ewigkeit. / Sein ist die Macht und die Herrlichkeit / in alle Ewigkeit" (Liturgie der Osternacht). Ja, das ist der Lobpreis, den das Jubiläum im beeindruckenden Horizont des Übergangs in ein neues Jahrtausend an Christus richten wollte, den Herrn der Geschichte, zweitausend Jahre nach seiner Geburt. Heute findet dieses außerordentliche Jahr seinen offiziellen Abschluß. Doch es bleiben die geistlichen Gaben, die in diesem Jahr ausgegossen wurden. Das große "Gnadenjahr", das Christus in der Synagoge von Nazaret eröffnet hat (vgl. Lk 4, 18-19), geht weiter; es dauert fort bis ans Ende der Zeiten.

Während sich heute mit der Heiligen Pforte ein "Symbol" für Jesus Christus schließt, steht das Herz Jesu mehr denn je offen. Jesus Christus spricht auch weiterhin zur Menschheit, die nach Hoffnung und Sinn lechzt: "Kommt alle zu mir, die ihr euch plagt und schwere Lasten zu tragen habt. Ich werde euch Ruhe verschaffen" (Mt 11, 28). Über die zahlreichen Feiern und Initiativen, die das Jubiläum auszeichneten, ist die lebendige und trostvolle Erfahrung der "Begegnung mit Christus" das große Erbe, das es uns hinterläßt.

3. Am heutigen Tag wollen wir uns zur Stimme der ganzen Kirche machen, die Lob und Dank sagt. Deshalb werden wir am Ende dieser Feier ein festliches Te Deum des Dankes singen. Der Herr hat Wundertaten für uns vollbracht, er hat uns sein reiches Erbarmen geschenkt. Heute müssen wir uns die Freude zu eigen machen, die die Magier auf dem Weg zu Christus empfunden haben: "Als sie den Stern sahen, wurden sie von sehr großer Freude erfüllt". Vor allem aber müssen wir sie nachahmen, wenn sie zu Füßen des göttlichen Kindes nicht nur ihre Geschenke, sondern ihr Leben darbringen.

In diesem Jubeljahr hat die Kirche mit noch größerem Einsatz versucht, für ihre Söhne und Töchter sowie für die Menschheit die Aufgabe des Sterns zu übernehmen, der die Schritte der Magier lenkte. Die Kirche möchte der "Stern" sein, der als Bezugspunkt dienen und helfen will, den Weg zu Christus zu finden.

In der Theologie der Kirchenväter sprach man gern von der Kirche als dem "mysterium lunae", dem Geheimnis des Mondes. Damit wollte man unterstreichen, daß die Kirche - wie der Mond - nicht vom eigenen Licht her strahlt, sondern Christus widerspiegelt, der ihre Sonne ist. Gern rufe ich in Erinnerung, daß das Zweite Vatikanische Konzil seine Dogmatische Konstitution über die Kirche gerade mit diesem Gedanken eröffnete: "Christus ist das Licht der Völker", "lumen gentium"! Und die Konzilsväter fuhren fort, indem sie ihrem brennenden Wunsch Ausdruck verliehen, "alle Menschen durch das Licht Christi, das auf dem Antlitz der Kirche widerscheint, zu erleuchten" (Nr. 1).

Mysterium lunae, Geheimnis des Mondes: Das Große Jubiläum hat die Kirche eine tiefe Erfahrung ihrer Berufung erleben lassen. In diesem Jahr der Gnade hat sie auf Christus gezeigt und noch einmal die Worte des Petrus aufklingen lassen: "Herr, zu wem sollen wir gehen? Du hast Worte des ewigen Lebens!" (Joh 6, 68).

4. "Huldigen werden dir, Herr, alle Völker der Erde!". In diesem Jahr hat sich höchst augenfällig gezeigt, daß der an die Völker ergangene Ruf zu Christus allumfassend ist. Menschen aus allen Kontinenten und jeder Sprache sind auf diesem Platz zusammengekommen. So viele Stimmen haben sich zum Gesang erhoben, wie zu einer Symphonie des Lobes und zu einer Botschaft der Brüderlichkeit.

An dieser Stelle kann ich natürlich nicht alle verschiedenen Begegnungen erwähnen, die wir erlebt haben. Mir kommen die Kinder in den Sinn, die das Jubiläum mit ihrer unbändigen Fröhlichkeit eingeläutet haben. Dann denke ich an die Jugendlichen, die Rom eroberten mit ihrer Begeisterung und der Heiterkeit ihres Zeugnisses. Meine Gedanken gehen zu den Familien, die eine Botschaft der Treue und Gemeinschaft vorlegten, die unsere Welt so dringend braucht. Erwähnt seien auch die alten, kranken und behinderten Menschen, die es vermochten, ein sprechendes Zeugnis der christlichen Hoffnung darzubieten. Vor meinen Augen habe ich die Jubelfeier jener, die in der Welt von Kultur und Wissenschaft sich täglich mit Aufmerksamkeit auf die Suche nach der Wahrheit machen.

Die Pilgerreise, die vor zweitausend Jahren die Magier aus dem Osten nach Betlehem führte, um den soeben geborenen Christus zu suchen, hat sich in diesem Jahr wiederholt: Abermillionen von Jüngern Christi sind hierher gekommen. Sie brachten nicht "Gold, Weihrauch und Myrrhe" dar, sondern ihr eigenes Herz, das so reich ist an Glauben und so sehr des Erbarmens bedarf.

5. Deshalb freut sich heute die Kirche und bebt vor dem Ruf des Jesaja: "Auf, werde Licht, denn es kommt dein Licht. (...) Völker wandern zu deinem Licht" (Jes 60, 1.3). In diesem Gefühl der Freude liegt kein leerer Triumphalismus. Wie könnten wir in eine solche Versuchung fallen, gerade am Ende eines Jahres, das so tief von der Buße geprägt war? Die Vorsehung hat uns im Großen Jubiläum eine Gelegenheit geboten, unser Gedächtnis zu reinigen und Gott um Verzeihung für die Treulosigkeiten zu bitten, die in diesen zweitausend Jahren von Söhnen und Töchtern der Kirche begangen wurden.

Vor dem gekreuzigten Christus haben wir uns daran erinnert, daß wir - angesichts der überreichen Gnade, die die Kirche "heilig" macht - in breitem Maß von der Sünde gezeichnet sind und auf das Antlitz der Braut Christi Schatten werfen: keine Selbsterhöhung also, sondern das volle Bewußtsein unserer Grenzen und unserer Schwächen. Dennoch sollen wir jubeln vor Freude - jener inneren Freude, zu der der Prophet uns einlädt. Diese Freude ist reich an Dankbarkeit und Lobpreis, denn sie gründet auf dem Bewußtsein der empfangenen Gaben und auf der Gewißheit, daß Christus uns ewig liebt.

6. Nun ist es an der Zeit, nach vorn zu schauen. Die Erzählung der Magier kann uns in gewisser Weise einen geistlichen Weg weisen. Sie sagen uns vor allem, daß man in der Christusbegegnung innehalten und die Freude über die Vertrautheit mit Ihm tief erleben muß. "Sie gingen in das Haus und sahen das Kind und Maria, seine Mutter; da fielen sie nieder und huldigten ihm". Nun war ihr Leben für immer diesem göttlichen Kind übereignet, für das sie die Strapazen der Reise und die Tücken der Menschen auf sich genommen hatten. Aus dieser Betrachtung der Herrlichkeit Gottes, die auf dem Antlitz Christi erstrahlt, ist das Christentum entstanden. Daraus erneuert es sich stetig.

Ein Antlitz, das es zu betrachten gilt: Es scheint, als könnte man in seinen Augen die "Gesichtszüge" des Vaters sehen; man hat den Eindruck, es sei umhüllt von der Liebe des Geistes. Der große Pilgerweg des Jubiläums hat uns an diese grundlegende dreifaltige Dimension des christlichen Lebens erinnert: In Christus begegnen wir auch dem Vater und dem Geist. Die Dreifaltigkeit ist der Ursprung und die Erfüllung. Alles kommt aus der Trinität, und alles kehrt in die Trinität zurück.

Doch wie bei den Magiern, so hindert die Betrachtung des Geheimnisses auch uns nicht, uns auf den Weg zu machen. Mehr noch: Die Betrachtung verpflichtet uns, neu aufzubrechen für einen neuen Wegabschnitt, bei dem wir zu Botschaftern und Zeugen werden. "Sie zogen auf einem anderen Weg heim in ihr Land". Die Magier waren gleichsam die ersten Missionare. Die Begegnung mit Christus hielt sie nicht in Betlehem fest, sondern drängte sie erneut auf die Straßen der Welt. Man muß wieder neu von Christus anfangen, und gerade deshalb von der Trinität.

7. Genau das wird von uns, liebe Brüder und Schwestern, verlangt als Frucht des Jubiläums, das heute beschlossen wird.

Im Hinblick auf diesen Auftrag, der auf uns wartet, werde ich in Kürze das Apostolische Schreiben "Novo millennio ineunte" unterzeichnen. Darin zeige ich einige Linien zur Überlegung auf, die der ganzen christlichen Gemeinschaft helfen können, nach dem Einsatz für das Jubiläum mit neuem Eifer "neu anzufangen". Dabei handelt es sich gewiß nicht darum, in kurzer Zeit weitere Initiativen großen Ausmaßes auf die Beine zu stellen. Es geht um die Rückkehr zum "normalen" Einsatz, was aber alles andere ist als Erholung. Vielmehr muß man aus der Erfahrung des Jubiläums die Lehren ziehen, die dazu dienen können, dem neuen Tun eine wirksame geistliche Richtung zu verleihen.

8. Ich übergebe diese Gedankenzüge den Teilkirchen, die sie - als eine Art "Erbe" des Großen Jubiläums - in ihre pastorale Planung mit Wertschätzung einbringen sollen. Besonders dringend ist es geboten, sich als Schatz den Anstoß zur Betrachtung Christi zu bewahren, wozu uns die Erfahrung dieses Jahres angeregt hat. Im menschlichen Antlitz des Sohnes Mariens erkennen wir das fleischgewordene Wort in der Fülle seiner Gottheit und Menschheit. Die herausragendsten Künstler im Osten und im Westen haben versucht, das Geheimnis dieses Antlitzes darzustellen. Doch es ist vor allem das Antlitz, das der Heilige Geist, der göttliche "Ikonenmaler", in den Herzen jener zeichnet, die es betrachten und lieben. Man muß "neu von Christus her anfangen", mit pfingstlichem Eifer und mit neuer Begeisterung. Neu bei Ihm anfangen in erster Linie beim alltäglichen Mühen um Heiligkeit: im Gebet und im Hören auf sein Wort. Neu bei Ihm anfangen, um von seiner göttlichen Liebe Kunde zu geben durch ein praktiziertes christliches Leben, das sich auszeichnet durch Gemeinschaft, Nächstenliebe und Zeugnis in der Welt. Darin liegt das Programm, das ich im vorliegenden Apostolischen Schreiben übergebe. Man könnte es auf ein Wort hin zuspitzen: "Jesus Christus!".

Am Anfang meines Pontifikates und später noch einige Male habe ich den Söhnen und Töchtern der Kirche und der Welt zugerufen: "Öffnet, ja reißt die Türen weit auf für Christus". Am Ende dieses Jubiläums möchte ich es wieder ausrufen - am Anfang dieses neuen Jahrtausends.

9. "Huldigen werden dir, Herr, alle Völker der Erde!". Dieses prophetische Wort ist schon verwirklicht im himmlischen Jerusalem, wo alle Gerechten der Welt und besonders so viele Zeugen des Glaubens auf geheimnisvolle Weise in jener heiligen Stadt versammelt sind, wo es keine Sonne mehr gibt, da das Lamm ihre Sonne ist. Dort oben vereinen Engel und Heilige ihre Stimmen, um Gott ihr Lob zu singen.

Die Kirche auf ihrem irdischem Pilgerweg wird in ihrer Liturgie, in der Verkündigung des Evangeliums und in ihrem Zeugnis jeden Tag zum Widerhall dieses himmlischen Gesangs. Möge die Kirche im neuen Jahrtausend immer mehr in der Heiligkeit wachsen, um in der Geschichte eine wahre "Epiphanie" des barmherzigen und glorreichen Antlitzes unseres Herrn Jesus Christus zu sein. So sei es!

[00032-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

1. "¡Te adorarán, Señor, todos los pueblos de la tierra!". Esta aclamación, repetida ahora en el Salmo responsorial, expresa muy bien el significado de la Solemnidad de la Epifanía que hoy celebramos. Al mismo tiempo ilumina también este rito de clausura de la Puerta Santa.

"Te adorarán, Señor...": se trata de una visión que nos habla de futuro y nos hace mirar a lo lejos. Evoca la antigua profecía mesiánica, que se realizará plenamente cuando Cristo el Señor volverá glorioso al final de la historia. En efecto, ha tenido ya una primera realización histórica y al mismo tiempo profética cuando los Magos llegaron a Belén trayendo sus dones. Fue el inicio de la manifestación de Cristo – o sea su "epifanía"- a los representantes de los pueblos del mundo.

Es una profecía que se va realizando gradualmente a lo largo del tiempo, a medida que el anuncio del Evangelio se extiende en los corazones de los hombres y hunde sus raíces en todas las regiones de la tierra. ¿No ha sido, tal vez, el Gran Jubileo una especie de "epifanía"? Viniendo aquí a Roma o también peregrinando a tantas Iglesias jubilares en otros lugares, innumerables personas se han puesto de alguna manera sobre las huellas de los Magos a la búsqueda de Cristo. La Puerta Santa no es más que el símbolo de este encuentro con Él. Cristo es la verdadera "Puerta Santa" que nos abre el acceso a la casa del Padre y nos introduce en la intimidad de la vida divina.

2. "¡Te adorarán, Señor, todos los pueblos de la tierra!". Sobre todo aquí, en el centro de la catolicidad, el aflujo imponente de peregrinos provenientes de todos los continentes ha ofrecido este año una imagen elocuente del camino de los pueblos hacia Cristo. Han sido personas de las más diversas categorías, venidas con el deseo de contemplar el rostro de Cristo y de obtener su misericordia.

"Cristo ayer y hoy/Principio y Fin/Alfa y Omega./Suyo es el tiempo y la eternidad./ A Él la gloria y el poder/ por todos los siglos de los siglos" (Liturgia de la Vigilia Pascual). Sí, este es el himno con el cual el Jubileo, en el sugestivo horizonte del paso hacia el tercer milenio, ha querido ensalzar a Cristo, Señor de la historia, a los dos mil años de su nacimiento. Hoy se concluye oficialmente este año extraordinario, pero quedan los dones espirituales que en él se han prodigado; continúa aquel gran "año de gracia" que Cristo inauguró en la sinagoga de Nazaret (cf Lc 4,18-19) y que durará hasta el fin de los tiempos.

Mientras hoy, con la Puerta Santa, se cierra un "símbolo" de Cristo, queda más que nunca abierto el corazón de Cristo. Él sigue diciendo a la humanidad necesitada de esperanza y de sentido: "Venid a mí todos los que estáis fatigados y sobrecargados, y yo os daré descanso" (Mt 11,28). Más allá de las numerosas celebraciones e iniciativas que lo han distinguido, la gran herencia que nos deja el Jubileo es la experiencia viva y consoladora del "encuentro con Cristo".

3. Hoy deseamos hacernos portavoces de la acción de gracias y alabanza de toda la Iglesia. Por ello, al término de esta celebración, cantaremos un solemne Te Deum de agradecimiento. El Señor ha hecho maravillas por nosotros, nos ha colmado de misericordia. Hoy debemos hacer nuestro el sentimiento de alegría experimentado por los Magos en su camino hacia Cristo: "Al ver la estrella, se llenaron de inmensa alegría". Sobre todo, debemos imitarlos mientras presentan a los pies del Niño no solo sus dones, sino su vida.

En este Año jubilar, la Iglesia ha intentado desempeñar aún con mayor interés, para sus hijos y para la humanidad, la función de la estrella que orientó los pasos de los Magos. La Iglesia no vive para sí misma, sino para Cristo. Intenta ser la "estrella" que sirva como punto de referencia para ayudar a encontrar el camino que conduce a Él.

En la teología patrística se hablaba de la Iglesia como "mysterium lunae" para subrayar que ella, como la luna, no brilla con luz propia, sino que refleja a Cristo, su Sol. Me es grato recordar que, justamente con este pensamiento, comienza la Constitución dogmática sobre la Iglesia del Concilio Vaticano II: "¡Cristo es la luz de los pueblos!", "lumen gentium"! Los Padres conciliares continuaban expresando sus ardientes deseos de "iluminar a todos los hombres con la luz de Cristo que resplandece sobre el rostro de la Iglesia" (n. 1).

Mysterium lunae: el Gran Jubileo ha hecho vivir a la Iglesia una experiencia intensa de esta vocación suya. Es Cristo quien la ha indicado en este año de gracia, haciendo resonar una vez más aún las palabras de Pedro: "Señor ¿a dónde vamos a ir? Tú tienes palabras de vida eterna" (Jn 6,68).

4. "¡Te adorarán, Señor, todos los pueblos de la tierra!". Esta universalidad de la llamada de los pueblos a Cristo se ha manifestado este año de modo más llamativo. Personas de todos los continentes y de todas las lenguas se han dado cita en esta Plaza. Tantas voces se han elevado aquí con cantos, como sinfonía de alabanza y anuncio de fraternidad.

Ciertamente no podría recordar en este momento los diversos encuentros que hemos vivido. Me vienen a la mente los niños, que han inaugurado el Jubileo con su irresistible regocijo, y los jóvenes, que han conquistado Roma con su entusiasmo y la seriedad de su testimonio. Pienso en las familias, que han propuesto un mensaje de fidelidad y de comunión, tan necesario en nuestro mundo, y en los ancianos, los enfermos y los discapacitados, que han sabido ofrecer un elocuente testimonio de esperanza cristiana. Tengo presente el Jubileo de aquellos que, en el mundo de la cultura y de la ciencia, se dedican cotidianamente a la búsqueda de la verdad.

La peregrinación que los Magos realizaron hace dos mil años desde Oriente hasta Belén en búsqueda de Cristo recién nacido, ha sido repetida este año por millones y millones de discípulos de Cristo, que han llegado aquí no con "oro, incienso y mirra", sino trayendo el propio corazón lleno de fe y necesitado de misericordia.

5. Por ello hoy goza la Iglesia, vibrando con la llamada de Isaías: "Arriba, resplandece, que ha llegado tu luz...Caminarán las naciones a tu luz" (Is 60, 1.3). En este sentimiento de alegría no hay ningún vano triunfalismo. ¿Cómo podríamos caer en esta tentación, precisamente al final de un año tan intensamente penitencial? El Gran Jubileo nos ha ofrecido una ocasión providencial para llevar a cabo la "purificación de la memoria", pidiendo perdón a Dios por las infidelidades llevadas a cabo en estos dos mil años por los hijos de la Iglesia.

Delante de Cristo crucificado, hemos recordado que, de frente a la gracia sobreabundante que hace a la Iglesia "santa", nosotros, sus hijos, estamos marcados profundamente por el pecado y empañamos el rostro de la Esposa de Cristo: así pues ninguna autoexaltación, sino plena conciencia de nuestros propios límites y de nuestras debilidades. No obstante, no podemos dejar de vibrar de alegría, de esa alegría interior a la que nos invita el profeta, rica de gratitud y alabanza, porque está fundada en la conciencia de las gracias recibidas y en la certeza del amor perenne de Cristo.

6. Ahora es el momento de mirar hacia delante; el relato de los Magos puede, en cierto sentido, indicarnos un camino espiritual. Ante todo ellos nos dicen que, cuando se encuentra a Cristo, es necesario saber detenerse y vivir profundamente la alegría de la intimidad con Él. "Entraron en la casa, vieron al niño con María su Madre y, postrándose, lo adoraron": sus vidas habían sido entregadas ya para siempre a aquella Criatura por la cual habían afrontado las asperezas del viaje y las insidias de los hombres. El cristianismo nace, y se regenera continuamente, a partir de esta contemplación de la gloria de Dios que resplandece en el rostro de Cristo.

Un rostro para contemplar, casi vislumbrando en sus ojos los "rasgos" del Padre y dejándose envolver por el amor del Espíritu. La gran peregrinación jubilar nos ha recordado esta dimensión trinitaria fundamental de la vida cristiana: en Cristo encontramos también al Padre y al Espíritu. La Trinidad es el origen y el culmen. Todo parte de la Trinidad, todo vuelve a la Trinidad.

Y, no obstante, como sucedió a los Magos, esta inmersión en la contemplación del misterio no impide caminar, antes bien obliga a reemprender un nuevo tramo de camino, en el cual nos convertimos en anunciadores y testigos. "Volvieron a su país por otro camino". Los Magos fueron en cierta manera los primeros misioneros. El encuentro con Cristo no los bloqueó en Belén, sino que les impulso nuevamente a recorrer los caminos del mundo. Es necesario volver a comenzar desde Cristo, y por tanto, desde la Trinidad.

7. Esto es precisamente, queridos hermanos y hermanas, lo que se nos pide como fruto del Jubileo que hoy se concluye.

En función de este compromiso que nos espera, firmaré dentro de poco la Carta Apostólica "Novo millennio ineunte", en la cual propongo algunas líneas de reflexión que pueden ayudar a toda la comunidad cristiana a "reemprender" el camino con renovado impulso tras el compromiso jubilar. Ciertamente, no se trata de organizar otras iniciativas de grandes proporciones a corto plazo. Volvemos a las tareas ordinarias, pero esto no significa en modo alguno un descanso. Es necesario sacar de la experiencia jubilar las enseñanzas útiles para dar al nuevo compromiso una inspiración y un orientación eficaz.

8. Entrego estas líneas de reflexión a las Iglesias particulares, casi como la herencia del Gran Jubileo, para que lo valoren a la luz de sus programaciones pastorales. Hay una urgente necesidad de aprovechar el impulso de la contemplación de Cristo que la experiencia de este año nos ha dado. En el rostro humano del Hijo de María reconocemos al Verbo hecho carne, en la plenitud de su divinidad y de su humanidad. Los más insignes artistas –en Oriente y Occidente- se han confrontado con el misterio de este Rostro. Pero el verdadero Rostro es, sobre todo, el que el Espíritu, divino "iconógrafo", imprime en los corazones de los que lo contemplan y lo aman. Es necesario "recomenzar desde Cristo", con el impulso de Pentecostés, con entusiasmo renovado. Recomenzar desde Él ante todo en el compromiso cotidiano por la santidad, poniéndonos en actitud de oración y de escucha de su palabra. Recomenzar también desde Él para testimoniar el Amor mediante la práctica de una vida cristiana marcada por la comunión, por la caridad, por el testimonio en el mundo. Este es el programa que entrego en la presente Carta Apostólica. Se podría reducir a una sola palabra: "¡Jesucristo!".

Al inicio de mi Pontificado, y tantas veces después, he gritado a los hijos de la Iglesia y al mundo: "Abrid, abrid de par en par las puertas a Cristo". Deseo hacerlo una vez más, al final de este Jubileo y comienzo de este nuevo milenio.

9. "¡Te adorarán, Señor, todos los pueblos de la tierra!". Esta profecía se realiza ya en la Jerusalén celeste, donde todos los justos del mundo, y especialmente tantos Testigos de la fe, están recogidos misteriosamente en aquella santa ciudad en la cual ya no luce el sol, porque su sol es el Cordero. Allá arriba, los ángeles y los santos unen sus voces para cantar la alabanza de Dios.

La Iglesia peregrina en la tierra, a través de su liturgia, del anuncio del Evangelio, de su testimonio, se hace eco cada día de este canto celeste. Quiera el Señor que, en el nuevo milenio, crezca cada vez más en la santidad, para ser en la historia verdadera "epifanía" del rostro misericordioso y glorioso de Cristo el Señor. ¡Así sea!

[00032-04.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

1. «Virão adorar-Vos, Senhor, todos os povos da terra!». Esta aclamação, repetida no Salmo Responsorial, exprime muito bem o significado da Solenidade da Epifania que hoje celebramos. Ao mesmo tempo ilustra o rito do encerramento da Porta Santa, que ocorre neste dia.

«Virão adorar-vos, Senhor...»: é uma visão que nos aponta para o futuro, faz-nos olhar para longe. Evoca-se a antiga profecia messiânica, que se cumprirá plenamente quando Cristo Nosso Senhor voltar gloriosamente no fim da história. Porém, ela teve já um primeiro cumprimento histórico e ao mesmo tempo profético, quando os Reis Magos vieram a Belém trazendo os seus dons. Foi o início da manifestação de Cristo - precisamente a sua "epifania" - aos representantes dos povos do mundo.

É uma profecia que se vai actuando gradualmente ao longo do tempo, à medida que o anúncio evangélico penetra no coração dos homens e se radica em todas as regiões da terra. Por acaso não foi o Grande Jubileu uma espécie de "epifania"? Vindo aqui a Roma, ou indo em peregrinação a qualquer outro lugar em tantas Igrejas jubilares, inumeráveis pessoas seguiram, de alguma forma, o rasto dos Magos, à procura de Cristo. A Porta Santa nada mais é senão o símbolo deste encontro com Ele. Cristo é a verdadeira "Porta Santa", que nos dá acesso à casa do Pai e nos introduz na intimidade da vida divina.

2. «Virão adorar-Vos, Senhor, todos os povos da terra!». Sobretudo aqui, no centro da catolicidade, o grande afluxo de peregrinos vindos de todos os continentes ofereceu este ano uma imagem eloquente da marcha dos povos para Cristo. Eram pessoas das mais distintas categorias, movidas pelo desejo de contemplar a rosto de Cristo e alcançar sua misericórdia.

"Cristo, ontem e hoje / Princípio e fim / Alfa e Ómega. / A Ele pertence o tempo / e a eternidade. / A Ele a glória e o poder / para sempre" (Liturgia da Vigília Pascal). Sim, este é o hino que o Jubileu, no sugestivo horizonte da passagem para um novo milénio, quis elevar a Cristo, Senhor da história, dois mil anos após o seu nascimento. Hoje encerra-se oficialmente este ano extraordinário, mas ficam os dons espirituais que nele foram concedidos; continua aquele grande "ano de graça" inaugurado por Cristo na sinagoga de Nazaré (cf. Lc 4,18-19) e que durará até ao fim dos tempos.

Ao encerrar-se hoje, com a Porta Santa, um "símbolo" de Cristo, permanece mais do que nunca aberto o Coração de Cristo. Ele continua dizendo à humanidade necessitada de esperança e de sentido: «Vinde a Mim, todos os que estais cansados e oprimidos, e aliviar-vos-ei» (Mt 11,28). Para além das numerosas celebrações e iniciativas que o caracterizaram, a grande herança que o Jubileu nos deixa é a experiência viva e consoladora do "encontro com Cristo".

3. Hoje, desejamos dar voz ao agradecimento e louvor de toda a Igreja. Por isso, no termo desta celebração, cantaremos um solene Te Deum de acção de graças. O Senhor realizou maravilhas por nós, e cumulou-nos de misericórdia. Hoje, devemos fazer nosso o sentimento de alegria experimentado pelos Magos, quando iam a caminho de Cristo: «Ao ver a estrela, sentiram grande alegria» (Mt 2,10). Devemos imitá-los, sobretudo, quando depositam aos pés do Deus-Menino não só os seus dons, mas as suas vidas.

Neste Ano jubilar, a Igreja procurou com maior diligência desempenhar, para os seus filhos e para a humanidade, a função da estrela que orientou os passos dos Magos. A Igreja não vive para si própria, mas para Cristo. Ela quer ser a «estrela» que serve de ponto de referência, ajudando a encontrar o caminho que leva a Ele.

Na teologia patrística, gostavam de falar da Igreja como "mysterium lunae", para ressaltar que ela, à semelhança da lua, não brilha com luz própria, mas reflecte a Cristo, o seu Sol. Apraz-me recordar que a Constituição dogmática sobre a Igreja do Concílio Vaticano II inicia precisamente com este pensamento: "A luz dos povos é Cristo", "lumen gentium"! E os Padres conciliares continuavam exprimindo o seu ardente desejo de "iluminar com a luz de Cristo que resplandece no rosto da Igreja, todos os homens" (n. 1).

Mysterium lunae: o Grande Jubileu fez com que a Igreja vivesse uma intensa experiência desta sua vocação. Foi Cristo que ela apresentou neste ano de graça, evocando mais uma vez as palavras de Pedro: «Senhor, para quem havemos nós de ir? Tu tens palavras de vida eterna!» (Jo 6,68).

4. «Virão adorar-Vos, Senhor, todos os povos da terra!». Esta universalidade da chamada dos povos a Cristo manifestou-se este ano de modo ainda mais visível. Encontraram-se nesta Praça pessoas de todos os continentes e de todas as línguas. Daqui se elevou um cântico a tantas vozes, como sinfonia de louvor e anúncio de fraternidade.

Não poderia certamente neste momento lembrar os inúmeros encontros que vivemos. Vêm-me à memória as crianças que inauguraram o Jubileu com a sua irrefreável alegria, e os jovens que conquistaram Roma com o seu entusiasmo e a seriedade do seu testemunho. Penso nas famílias, que propuseram uma mensagem de fidelidade e de comunhão tão necessária ao nosso mundo, nos idosos, nos enfermos e nos deficientes que souberam oferecer um testemunho eloquente de esperança cristã. Tenho diante dos olhos o Jubileu daqueles que, no mundo da cultura e da ciência, com dedicação quotidiana se entregam à busca da verdade.

A peregrinação que, há dois mil anos, registou a vinda dos Magos do Oriente até Belém à procura de Cristo recém-nascido, foi repetida este ano por milhões e milhões de discípulos de Cristo, que vieram não com "ouro, incenso e mirra", mas trazendo o próprio coração rico de fé e necessitado de misericórdia.

5. Por isso, a Igreja hoje rejubila, vibrando com o apelo de Isaías: «Levanta-te e resplandece, chegou a tua luz... As nações caminharão à tua luz» (60,1.3). Não há, neste sentimento de alegria, qualquer vão triunfalismo. Como poderíamos cair nesta tentação, precisamente no fim de um ano tão intensamente penitencial? O Grande Jubileu ofereceu-nos uma ocasião providencial para realizar "a purificação da memória", pedindo perdão a Deus pelas infidelidades dos filhos da Igreja nestes dois mil anos.

Diante de Cristo crucificado lembrámos que, não obstante a graça superabundante que faz "santa" a Igreja, nós, seus filhos, estamos amplamente marcados pelo pecado, e anuviamos o rosto da Esposa de Cristo: portanto, nenhuma auto-exaltação, mas uma grande consciência dos nossos limites e das nossas debilidades. Não podemos, porém, deixar de vibrar de alegria, daquela alegria interior a que o profeta nos convida, rica de gratidão e de louvor, pois se baseia na consciência dos dons recebidos e na certeza do amor perene de Cristo.

6. Agora é tempo de olhar para a frente, e a narração dos Magos pode, de certo modo, indicar-nos um roteiro espiritual. Primeiramente, eles dizem-nos que, quando se encontrou Cristo, é necessário saber deter-se e viver profundamente a alegria da intimidade com Ele. «Entrando na casa, viram o Menino com Maria, sua mãe. Prostrando-se, adoraram-n’O» (Mt 2,11); doravante as suas vidas são entregues àquele Menino, pelo qual tinham enfrentado as asperezas da viagem e as insídias dos homens. O cristianismo nasce, e continuamente regenera-se, a partir desta contemplação da glória de Deus que resplandece no rosto de Cristo.

Um rosto a ser contemplado, quase vislumbrando nos seus olhos os "traços" do Pai e deixando-se envolver pelo amor do Espírito. A grande peregrinação jubilar lembrou-nos esta dimensão trinitária fundamental da vida cristã: em Cristo encontramos também o Pai e o Espírito. A Trindade é a origem e a consumação. Tudo principia da Trindade, tudo retorna à Trindade.

E no entanto, como aconteceu com os Magos, esta imersão na contemplação do mistério não nos impede de caminhar, antes obriga-nos a partir para um novo trecho de caminho onde seremos anunciadores e testemunhas. «Regressaram à sua terra por outro caminho» (Mt 2,12). Os Magos foram, de certo modo, os primeiros missionários. O encontro com Cristo não os deteve em Belém, mas lançou-os pelas estradas do mundo. Ocorre partir de Cristo e, por isso mesmo, partir da Trindade.

7. Isto mesmo se espera de nós, caríssimos Irmãos e Irmãs, como fruto do Jubileu que hoje se encerra.

Em função deste compromisso que nos aguarda, assinarei dentro de pouco a Carta Apostólica "Novo millennio ineunte", na qual proponho algumas linhas de reflexão que podem ajudar toda a comunidade cristã a "partir" com renovado ardor depois do empenho jubilar. Não se trata, evidentemente, de organizar, no futuro próximo, outras iniciativas de vastas proporções. Torna-se ao trabalho de sempre, que não é de forma alguma um descanso. Mas é necessário auferir da experiência jubilar os ensinamentos úteis para dar ao novo empenho uma inspiração e uma orientação eficazes.

8. Confio estas linhas de reflexão às Igrejas particulares, como uma "herança" do Grande Jubileu, para que as valorizem no âmbito da sua programação pastoral. Antes de mais, é urgente conservar o impulso à contemplação de Cristo, que nos foi dado pela experiência deste ano. No rosto humano do Filho de Maria, reconhecemos o Verbo feito carne, na plenitude da sua divindade e da sua humanidade. Os mais insígnes artistas - no Oriente e no Ocidente - debruçaram-se sobre o mistério daquele Rosto. Ele é sobretudo o Rosto que o Espírito, divino "iconógrafo", desenha nos corações daqueles que O contemplam e O amam. Ocorre "partir de Cristo", com o impulso do Pentecostes, com entusiasmo renovado. Partir d’Ele, inicialmente no empenho quotidiano da santidade, pondo-nos em atitude de oração e à escuta da sua palavra. Depois, partir d’Ele para testemunhar o Amor, pela prática da vida cristã marcada pela comunhão, pela caridade, pelo testemunho do mundo. Este é o programa que apresento nesta Carta Apostólica. Este poderia ficar reduzido somente a uma palavra: "Jesus Cristo!".

No início do meu Pontificado e depois muitas vezes, bradei aos filhos da Igreja e ao mundo: "Abri, escancarai as portas a Cristo". Desejo repeti-lo também, no fim deste Jubileu, no início deste novo milénio.

9. «Virão adorar-Vos, Senhor, todos os povos da terra!». Esta profecia está já realizada na Jerusalém celestial, onde todos os justos do mundo, e especialmente muitas Testemunhas de fé, se congregam misteriosamente; naquela cidade santa, não há mais sol, porque o seu sol é o Cordeiro. Lá os anjos e os santos unem a sua voz para cantar os louvores de Deus.

A Igreja peregrina sobre a terra, na sua liturgia, no seu anúncio do Evangelho, no seu testemunho, faz ecoar cada dia aquele canto celestial. O Senhor permita que, neste movo milénio, ela cresça sempre mais em santidade, para ser na história verdadeira "epifania" do rosto misericordioso e glorioso de Cristo Nosso Senhor. Assim seja!

[00032-06.01] [Texto original: Italiano]