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PROCLAMAZIONE DI SAN TOMMASO MORO A PATRONO DEI GOVERNANTI E DEI POLITICI (DOCUMENTAZIONE), 26.10.2000


PROCLAMAZIONE DI SAN TOMMASO MORO A PATRONO DEI GOVERNANTI E DEI POLITICI (DOCUMENTAZIONE)

CENNI BIOGRAFICI DI SAN TOMMASO MORO  

ISTANZA INVIATA AL PAPA PER LA PROCLAMAZIONE DI SAN TOMMASO MORO A PATRONO DEI GOVERNANTI E DEI POLITICI  

Pubblichiamo di seguito in diverse lingue i cenni biografici di San Tommaso Moro nonché l’istanza inviata a Giovanni Paolo II per la sua proclamazione a Patrono dei Governanti e dei Politici:

CENNI BIOGRAFICI DI SAN TOMMASO MORO

Versione in lingua italiana  

Versione in lingua inglese  

Versione in lingua spagnola  

Versione in lingua italiana  

Tommaso Moro nacque nel cuore di Londra il 7 Febbraio 1478 e, sempre nella capitale inglese, fu decapitato il 6 luglio 1535.

Compiuti gli studi ad Oxford e presso gli Inns of Court di Londra, divenne un famoso avvocato, membro del Parlamento e prestigioso giudice. Servì il Paese svolgendo diverse mansioni, ma non permise mai che l'attività pubblica lo allontanasse dalla cura della famiglia e dal suo impegno di studioso di primo piano nel panorama dell'umanesimo europeo. A 41 anni entrò al servizio diretto del Re. Le sue responsabilità crebbero, fino a portarlo alla nomina a Lord Cancelliere del Regno all'età di 52 anni. Il 16 maggio 1532 si dimise dalla carica, per sottrarsi dall'appoggiare il disegno di Enrico VIII, che manipolava il Parlamento e l'Assemblea del Clero allo scopo di assumere il controllo sulla Chiesa in Inghilterra. Tommaso Moro venne imprigionato; dopo 15 mesi di carcere, fu processato e giustiziato a causa del suo rifiuto di firmare il giuramento di adesione all'atto di supremazia del Re nell'ordine spirituale.

La coerenza cristiana che Tommaso Moro provò fino al martirio, ha fatto sì che la sua fama si sia incessantemente consolidata nel corso dei secoli. Già in vita egli era noto ovunque per i suoi meriti di studioso e la modernità di molte sue vedute. Così, ad esempio, egli volle che le sue figlie ricevessero la stessa educazione del figlio, cosa davvero rivoluzionaria per i costumi dell'epoca. La sua attività di scrittore — specie le traduzioni di Luciano dal greco, le raccolte di poesie ed il classico Utopia — gli valse un prestigio impareggiabile. L'Utopia è la sua opera più nota. Modellata su La Repubblica di Platone, essa costituisce uno dei testi più stimolanti per il filosofo politico e lo studioso della natura umana. Come La Repubblica, anche l'Utopia presenta delle contraddizioni interne, disseminate nel testo dall'autore allo scopo di stimolare il lettore ad approfondire i valori etici perenni che danno senso alla vita personale e sociale.

Tommaso Moro è stato canonizzato dalla Chiesa cattolica nel 1935 e dal 1980 il suo nome è inserito anche nel martirologio anglicano. Egli viene universalmente riconosciuto come simbolo di integrità ed eroico testimone del primato della coscienza al di là dei confini nazionali e delle confessioni religiose. Le sue ultime parole furono: "Muoio come buon servo del Re, ma anzitutto come servo di Dio". Un grande ideale per tutti coloro che dedicano la propria vita al servizio del bene comune.

Versione in lingua inglese

Thomas More was born in the heart of London on 7 February 1478, and he was beheaded in the same city on 6 July 1535.

After studying at Oxford and the London Inns of Court, he became a prominent lawyer, a member of Parliament, and a well respected judge. He served his city in numerous capacities, but he never allowed his public duties to interfere with his close supervision of his children's education or with his intense life of study as a leading humanist. After agreeing to enter the King's service at forty-one, he rose quickly in his responsibilities until he became Lord Chancellor of England at the age of fifty-two. He resigned that office, however, on 16 May 1532 after King Henry VIII manipulated both Parliament and the Convocation of Clergy in order to assume control over the Church in England. Sir Thomas was eventually imprisoned for fifteen months before being tried and executed for not signing an oath that recognized the King's supremacy in spiritual affairs.

The Christian steadfastness which Thomas More demonstrated in martyrdom has made his name famous down through the centuries. In his own lifetime, he was already known throughout Europe for his scholarship and his innovative views, which led him, for example, to give his daughters the same education his son received -- a revolutionary development in those times. His work as a writer — especially his translations of the Greek satirist Lucian, his collection of original poems, and his great classic Utopia — lent his name incomparable prestige. Utopia continues to be Thomas More's best-known work. Modeled on Plato's Republic, this intellectual puzzle is one of the finest case studies ever devised for the political philosopher and the student of human nature. Like the Republic, Utopia is filled with internal contradictions that invite the attentive reader to think deeply about the perennial ethical values which give meaning to personal and social life.

Thomas More has been venerated as a saint by the Catholic Church since 1935, and since 1980 his name has been included in the Anglican calendar of saints. He has been recognized as a symbol of integrity and a hero of conscience by people regardless of their nations or beliefs. His last words, "I die the King's good servant and God's first," remain an inspiration for all those who dedicate their lives to the service of the common good.

Versione in lingua spagnola

Tomás Moro nació en el corazón de Londres el 7 de febrero de 1478 y fue decapitado, también en la capital inglesa, el 6 de julio de 1535.

Terminados sus estudios en Oxford y en los Inns of Court de Londres, se dedicó con éxito a la abogacía y se convirtió sucesivamente en miembro del Parlamento y en juez de reconocido prestigio. Desempeñó varios cargos al servicio de su país, pero no permitió nunca que la actividad pública lo alejase de la atención de su familia y de su compromiso como intelectual de primer orden en el panorama del humanismo europeo. A los 41 años comenzó a trabajar al servicio directo del Rey. Sus responsabilidades aumentaron con el paso del tiempo, hasta que, a los 52 años, fue nombrado Lord Canciller del Reino. El 16 de mayo de 1532 dimitió de su cargo para no secundar los designios de Enrique VIII, que estaba manipulando al Parlamento y a la Asamblea del Clero con el objeto de asumir el control de la Iglesia en Inglaterra. Posteriormente fue encarcelado por negarse a firmar el juramento de adhesión al acta que sancionaba la supremacía del Rey en el orden espiritual, y finalmente, tras quince meses de reclusión, fue procesado y ajusticiado.

La coherencia cristiana que Tomás Moro vivió hasta el martirio explica que su fama haya ido consolidándose incesantemente a lo largo de los siglos. Ya mientras vivía fue persona muy conocida por sus méritos intelectuales y por la modernidad de muchos de sus planteamientos. Por ejemplo, quiso que sus hijas recibieran la misma educación que su hijo, algo verdaderamente revolucionario para las costumbres de la época. Su actividad como escritor —especialmente sus traducciones de Luciano a partir de los textos griegos, sus poesías y su ya clásica Utopía— le reportó asimismo un prestigio inigualable. Utopía, su obra más conocida, construida según el modelo de La República de Platón, constituye, para el filósofo político y el estudioso de la naturaleza humana, uno de los textos más estimulantes que se han escrito nunca. Como en La República, también en Utopía hay contradicciones internas que el autor ha ido repartiendo a lo largo del texto con el objeto de provocar al lector y ayudarle así a profundizar en los valores éticos perennes que dan sentido a la vida personal y social.

Tomás Moro fue canonizado por la Iglesia católica en 1935, y desde 1980 su nombre figura también en el martirologio anglicano. Es reconocido universalmente, por encima de fronteras nacionales y de confesiones religiosas, como símbolo de integridad y como testigo heroico de la primacía de la conciencia. "Muero como buen siervo del Rey, pero sobre todo como siervo de Dios", fueron sus últimas palabras. Gran ideal para todos los que dedican su vida a servir al bien común.

ISTANZA INVIATA AL PAPA PER LA PROCLAMAZIONE DI SAN TOMMASO MORO A PATRONO DEI GOVERNANTI E DEI POLITICI

Testo in lingua italiana  

Testo in lingua inglese  

Testo in lingua spagnola  

Testo in lingua francese  

Testo in lingua tedesca  

L'istanza che pubblichiamo di seguito in varie lingue è stata sottoscritta da diverse centinaia di uomini politici (compresi Capi di Stato, Capi di Governo e Ministri) di svariati Paesi, di diverse tendenze politiche e appartenenti a differenti confessioni religiose.

Essa è stata presentata al Santo Padre, corredata dalla raccolta completa delle lettere di adesione, dal Sen. Cossiga e dal Sen. venezuelano Hilarión Cardozo il 25 settembre scorso nel corso di un'udienza privata.:

Testo in lingua italiana

Beatissimo Padre,

la figura di San Tommaso Moro martire ha, ormai da secoli, suscitato la sincera venerazione del popolo cristiano. Ma egli è anche uno dei santi dei quali il mondo della cultura e quello della politica approfondiscono, con maggiore dovizia di studi e con crescente interesse di scienze e prassi, i molteplici aspetti della vita e dell'opera. La bibliografia specialistica è in costante aumento e presenta caratteristiche assai significative: anzitutto accomuna autori che appartengono a diverse chiese e comunità cristiane (Sir Thomas More è inserito nel calendario liturgico della Chiesa Anglicana in Inghilterra come "martyr"), fedi religiose e persino agnostici: e questo a testimonianza di un interesse davvero universale. Inoltre, ne traspare un'ammirazione che, al di là dell'apporto offerto da San Tommaso Moro nei settori in cui operò — come umanista, come apologeta, come giudice e legislatore, come diplomatico o come statista —, si concentra sull'uomo: se la santità è di per sé anche pienezza dell'umano, in questo caso ciò appare addirittura tangibile.

Già il predecessore della Santità Vostra sul soglio di Pietro, il Papa Pio XI, nella Bolla di Canonizzazione lo pose quale modello di provata integrità di costumi per tutti i cristiani e lo definì "laicorum hominum decus et ornamentum". Proprio fra i laici la crescente attrazione verso questa straordinaria figura ci parla di una presenza che, con il trascorrere del tempo, si fa più viva, più incisiva e sempre di più permanentemente attuale.

Egli appare come l'esemplare di quell'unità di vita che la Santità Vostra ha indicato quale espressione specifica della santità per i laici: «L'unità della vita dei fedeli laici è di grandissima importanza: essi, infatti, devono santificarsi nell'ordinaria vita professionale e sociale. Perché possano rispondere alla loro vocazione, dunque, i fedeli laici debbono guardare alle attività della vita quotidiana come occasione di unione con Dio e di compimento della sua volontà, e anche di servizio agli altri uomini» (Es. ap. Christifideles laici, n. 17). In lui non ci fu alcun segno di quella frattura fra fede e cultura, fra principi e vita quotidiana, che il Concilio Vaticano II lamenta «tra i più gravi errori del nostro tempo» (Cost. past. Gaudium et spes, n. 43).

Nell'attività umanistica in cui spaziò dall'inglese al latino, al greco, dalla filosofia, specie politica, alla teologia, egli unì lo studio alla pietà, la cultura all'ascesi, la sete di verità alla ricerca della virtù attraverso una dura ma gioiosa lotta interiore. Come avvocato e giudice, finalizzò l'interpretazione e la formulazione delle leggi (è giustamente considerato fra i fondatori della scienza della common law inglese) alla tutela di una vera giustizia sociale e alla costruzione della pace fra gli individui e le nazioni. Più pensoso di eliminare le cause della violenza che di reprimere, non separò la promozione appassionata ma prudente del bene comune dalla pratica costante della carità: "patrono dei poveri" lo definirono infatti i suoi concittadini. L'incondizionata e benevola dedizione alla giustizia nel rispetto della libertà e dell'umana persona fu la guida della sua condotta di magistrato. Servendo ogni uomo, San Tommaso Moro sapeva di servire il suo Re, e cioè lo Stato, ma voleva servire anzitutto Dio.

Questa tensione a Dio ne permeava l'intera condotta. La sua famiglia, ove si premurò di instaurare un'istruzione ad elevatissimo livello morale, venne dai contemporanei definita "accademia cristiana". Da uomo pubblico dimostrò di essere nemico assoluto dei favoritismi e dei privilegi del potere, professando un esemplare distacco dagli onori e dalle cariche, ma vivendo, con semplicità e con umiltà, il suo stato di altissimo servitore del Re.

Fedele fino in fondo ai doveri civili, si espose a rischi estremi pur di servire il proprio Paese. Riuscì a divenire perfetto servitore dello Stato, perché lottò per essere perfetto cristiano. «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22, 21): egli comprese che queste parole di Cristo, se, da un lato, affermano la relativa autonomia del temporale dallo spirituale, dall'altro — in quanto pronunciate da Dio stesso —, impegnano la coscienza del cristiano a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo, respingendo però ogni compromesso, e questo fino all'eroismo del martirio, affrontato con profonda umiltà.

Il suo Martirio, se pur con la prudenza della storia imperfetta degli uomini, è la prova suprema di quest'unità di valori — frutto dell'assidua ricerca della verità e di una non meno tenace lotta interiore — cui San Tommaso Moro seppe improntare tutta la propria esistenza. Lo straordinario buon umore, la perenne serenità, la considerazione delle posizioni contrarie, il sincero perdono a chi lo condannava, mostrano come la sua coerenza si sposasse con un profondo rispetto per la libertà altrui.

Proprio l'attualità di questa convergenza di impegno politico e di coerenza morale, di quest'armonia fra il soprannaturale e l'umano, di questa unità di vita senza residui, ha indotto numerosi pubblici esponenti di vari Paesi del mondo ad aderire al Comitato per la proclamazione di Sir Thomas More, Santo e Martire, quale Patrono dei Governanti. Fra i firmatari della presente istanza si annoverano cattolici e non: uomini di Stato che operano in circostanze non solo politiche, ma anche culturali, assai eterogenee tra di loro, ma tutti ugualmente sensibili alla fecondità dell'esempio moreano. Un esempio che, ben oltre l'arte del governare, abbraccia le virtù indispensabili per il buon governo.

La politica per lui non fu una interessata professione, ma un servizio talvolta arduo, al quale si era coscienziosamente preparato non solo con l'approfondimento della storia, delle leggi e della cultura del proprio Paese, ma soprattutto con l'indagine paziente sulla natura umana, la sua grandezza e le sue debolezze, e sulle condizioni sempre perfettibili del vivere sociale. La politica fu lo sbocco di un assiduo sforzo di lucida comprensione. Grazie ad esso, egli poté insegnare la giusta gerarchia dei fini da perseguire nel governo, alla luce del primato della Verità sul potere e del Bene sull'utile. Agì sempre nella prospettiva dei fini ultimi, quelli che l'alternarsi delle vicende storiche non potrà mai vanificare.

Di qui la forza che lo sostenne nell'affrontare il martirio. Fu martire della libertà nel senso più moderno del termine, perché si oppose alla pretesa del potere di comandare sulle coscienze: tentazione perenne — e tragicamente attestata dalla storia del XX secolo — di ordinamenti politici che non riconoscono nulla al di sopra di sé. Fedele alle istituzioni del suo popolo — la Magna Charta recitava: Ecclesia anglicana libera sit — e attento lettore della storia che gli mostrava come il primato di Pietro costituisca garanzia di libertà per le Chiese particolari, San Tommaso Moro dette la vita per difendere la libertà della Chiesa dallo Stato. Ma in questo modo egli difese allo stesso tempo la libertà ed il primato della coscienza del cittadino nei confronti del potere civile.

Martire della libertà perché martire del primato della coscienza che, saldamente formato dalla ricerca della verità, ci rende pienamente responsabili delle nostre decisioni, cioè padroni di noi stessi e dunque liberi da ogni vincolo che non sia quello — proprio della creatura — che ci lega a Dio. La Santità Vostra ci ha ricordato che la coscienza morale rettamente intesa è «testimonianza di Dio stesso, la cui voce e il cui giudizio penetrano l'intimo dell'uomo fino alle radici della sua anima» (Enc. Veritatis splendor, n. 58). Questa — ci sembra — la lezione fondamentale di San Tommaso Moro agli uomini di Governo: lezione di fuga dal successo e dal facile consenso in nome della fedeltà ai principi irrinunciabili, da cui dipende la dignità dell'uomo e la giustizia degli ordinamenti civili. Lezione, questa, altamente ispiratrice per tutti coloro che, sulle soglie del nuovo Millennio, si sentono chiamati a scongiurare le ricorrenti insidie di nuove e mascherate tirannie.

Perciò, certi di agire per il bene della società futura e confidando che la nostra supplica troverà benevola accoglienza nella Santità Vostra, chiediamo che Sir Tommaso Moro, Santo e Martire, fedele servitore del Re, ma anzitutto di Dio, venga proclamato "Patrono degli Uomini di Governo".

Testo in lingua inglese

Holy Father,

For centuries now, Saint Thomas More, martyr, has inspired the sincere veneration of the Christian people. He is also one of the saints whose life and works receive most attention in the worlds of culture and politics, an attention reflected in numerous scholarly studies and an ever-increasing interest both in academia and in the world of affairs. The scholarly bibliography is constantly growing and has a number of remarkable characteristics; above all, it includes authors from different churches and Christian communities (Sir Thomas More is placed in the liturgical calendar of the Anglican Church in England as a "martyr"), different religious faiths and even authors who are agnostic. This is a sign of truly universal appeal. It reflects, moreover, an admiration which transcends the specific contributions that Saint Thomas More made in the various fields in which he worked — as humanist, apologist, judge, legislator, diplomat and statesman — and focuses on the man himself: the idea that holiness is the fulness of humanity appears, in this case, quite tangibly true.

Your Holiness's predecessor in the Chair of Peter, Pope Pius XI, in the Bull of Canonization, presented Saint Thomas More as a model of proven moral integrity for all Christians and defined him as laicorum hominum decus et ornamentum. Precisely among the laity, the growing appeal of this extraordinary man speaks to us of one whose presence becomes, with the passing of time, ever more vivid, more striking, and more permanently timely.

He shines forth as an example of that unity of life which Your Holiness has called a characteristic of lay holiness: "The laity's unity of life is enormously important: for, indeed, they must sanctify themselves in their ordinary professional and social life. In order to be able to respond to their calling, then, the laity should look upon the activity of daily life as an opportunity for union with God and the fulfillment of His will and for service of their fellow man." (Christifideles laici, n. 17). In Saint Thomas More, there was no sign of that split between faith and culture, between timeless principles and daily life, which the Second Vatican Council laments as "among of the gravest errors of our time" (Gaudium et spes, n. 43).

In the humanistic activity which found him roaming from English to Latin and to Greek, and from political philosophy to theology, he united study with piety, culture with ascetical life, and the thirst for truth with the quest for virtue through a strict but joyful interior struggle. As a lawyer and judge, he established the interpretation and formulation of laws (he is rightly considered one of the founders of the study of the English common law) which safeguard true social justice and build peace between individuals and nations. More eager to eliminate the causes of injustice than to repress it, he did not separate his passionate but prudent advocacy of the common good from the constant practice of charity: his fellow citizens called him the "patron of the poor." An unconditional and benevolent dedication to justice with regard to the human person and liberty was the guiding rule of his conduct as a magistrate. While serving all men, Saint Thomas More knew well how to serve his king, that is the state, but wanted above all to serve God.

This turning toward God permeated all his actions. His family, in which he took care to provide the highest level of moral education, was defined by contemporaries as a "Christian academy." As a public figure, he showed himself an implacable enemy of favoritism and of the privileges of power, exercising an exemplary detachment from honors and offices, but living out, with simplicity and humility, his official position as the highest servant of the king.

Absolutely faithful to his civic duties, he exposed himself to extreme risks for the service of his own nation. He managed to become a perfect servant of the state, because he struggled to be a perfect Christian. "Render unto Caesar the things that are Caesar's, but unto God the things that are God's. (Matt. 22,21): he understood that these words of Christ, while affirming the relative autonomy of the temporal from the spiritual sphere, call upon the Christian conscience to bring the values of the Gospel to the civil sphere, rejecting any compromise, even if this means martyrdom faced with profound humility.

His martyrdom, even given the imperfect historical judgment available to men, seems the supreme proof of this unity of values — the fruit of a relentless search for the truth and a no-less— tenacious interior stuggle — with which Saint Thomas More managed to stamp his whole existence. His extraordinary good humor, perennial serenity, consideration of opposing views, and sincere forgiveness toward those who condemned him demonstrate that his personal convictions were wedded to a profound respect for the freedom of others.

The timeliness of this convergence of political commitment and moral conviction, this harmony between the supernatural and the human, and this seamless unity of life have caused many public servants from various countries to join the Committee for the Proclamation of Sir Thomas More, Saint and Martyr, as Patron of Politicians. Among the signatories of this petition are numbered Catholics and non-Catholics: statesmen who work in the fields of both politics and culture, different among themselves, but all captivated by the richness of Saint Thomas More's example — an example not only of the art of governing, but also of the virtues indispensable for good government.

Politics was not, for him, a matter of personal advantage, but rather an often difficult form of service, for which he had prepared himself not only through the study of the history, laws and culture of his own country, but also and especially through the examination of human nature, its grandeur and weaknesses, and of the ever-imperfect conditions of social life. For him, politics was the overflow of a tremendous effort of comprehension. As a consequence, he was able to show the proper hierarchy of ends to be pursued by government, in the light of the primacy of Truth over power and Goodness over utility. He always acted from the perspective of final ends, those which the shifting sands of historical circumstance can never nullify.

Hence the strength which sustained him in the face of martyrdom. He was a martyr of freedom in the most modern sense of the word, for he opposed the attempt of power to command the conscience: a perennial temptation — one to which the history of the 20th century bears tragic witness — of political regimes that do not recognize anything superior to themselves. Faithful to the institutions of his nation — the Magna Charta reads: Ecclesia anglicana libera sit — and a careful student of history, which showed him that the Primacy of Peter constitutes a guarantee of freedom for the particular Churches, Saint Thomas More gave his life to defend the Church's freedom from the State. But in this way, he also defended the freedom and the primacy of the citizen's conscience before the power of the state.

A martyr for freedom, then, precisely because he was a martyr for the primacy of conscience which, firmly grounded in the search for the truth, renders us responsible for our decisions, that is to say, masters of ourselves and thus free from all bonds except that bond — proper to a creature — which binds us to God. Your Holiness has reminded us that the moral conscience rightly understood is a "witness of God Himself, whose voice and whose judgment penetrate the intimacy of man down to the roots of his soul" (Veritatis Splendor, n. 58). This — it seems to us — is the fundamental lesson Saint Thomas More offers all statesmen: the lesson of flight from success and easy compromises in the name of fidelity to irrevocable principles, upon which depend the dignity of man and the justice of civil society — a lesson truly inspiring for all who, on the threshold of the new Millennium, feel themselves called to expose and eradicate the snares laid by new and hidden tyrannies.

Therefore, certain that we act for the good of future society and trusting that our petition will find a benevolent welcome with Your Holiness, we ask that Sir Thomas More, Saint and Martyr, faithful servant of the King, but God's first, be proclaimed "Patron of Statesmen."

Testo in lingua spagnola

Beatísimo Padre,

la figura del mártir Santo Tomás Moro suscita desde hace siglos la sincera veneración del pueblo cristiano. Además, el mundo de la cultura y el de la política profundizan en los múltiples aspectos de su vida y de su obra con estudios cada vez más prolijos y con un interés creciente, tanto en el ámbito de los saberes teóricos como en el de los prácticos. La bibliografía especializada aumenta constantemente y presenta características muy significativas: en primer lugar, une a autores de diferentes iglesias y comunidades cristianas (Sir Thomas More figura en el calendario litúrgico de la Iglesia Anglicana de Inglaterra como "martyr"), así como de variadas confesiones religiosas, y no faltan entre ellos los agnósticos, dato que testimonia un interés verdaderamente universal. Además, del estudio de esa bibliografía se desprende una admiración que, más allá de la contribución de Santo Tomás Moro en los distintos sectores en que actuó —como humanista, como apologeta, como juez y legislador, como diplomático o como estadista—, se concentra en su figura humana: si la santidad es siempre, de por sí, plenitud también de lo humano, en el caso de Santo Tomás Moro este hecho es especialmente tangible.

Ya el predecesor de Su Santidad en el solio de Pedro, el Papa Pío XI, en la Bula de Canonización, lo propuso como modelo de probada integridad de costumbres para todos los cristianos y lo definió "laicorum hominum decus et ornamentum". Y la creciente atracción que, precisamente entre los laicos, ejerce esta extraordinaria figura nos habla de una presencia que con el paso del tiempo se hace cada vez más viva, más incisiva, más permanentemente actual.

Santo Tomás Moro aparece como el modelo ejemplar de esa unidad de vida en la que Su Santidad ha cifrado la expresión específica de la santidad para los laicos: «La unidad de vida de los fieles laicos tiene una gran importancia. Ellos, en efecto, deben santificarse en la vida profesional y social ordinaria. Por tanto, para que puedan responder a su vocación, los fieles laicos deben considerar las actividades de la vida cotidiana como ocasión de unión con Dios y de cumplimiento de su voluntad, así como también de servicio a los demás hombres» (Exhort. apost. Christifideles laici, n. 17). En Santo Tomás Moro no hubo señal alguna de esa fractura entre fe y cultura, entre principios y vida cotidiana, que el Concilio Vaticano II lamenta «como uno de los más graves errores de nuestra época» (Const. past. Gaudium et spes, n. 43).

En la actividad humanística —en la que cultivó desde el inglés hasta el latín y el griego, así como desde la filosofía, sobre todo política, hasta la teología— unió el estudio y la piedad, la cultura y la ascética, la sed de verdad y la búsqueda de la virtud a través de una lucha interior dura pero alegre. Como abogado y juez, encaminó la interpretación y la formulación de las leyes (es justamente considerado uno de los fundadores de la ciencia de la common law inglesa) a la tutela de una verdadera justicia social y a la construcción de la paz entre los individuos y las naciones. Más preocupado por eliminar la violencia en sus causas que por reprimirla, no separó la promoción apasionada pero prudente del bien común de la práctica constante de la caridad: sus conciudadanos, en efecto, lo denominaron "patrono de los pobres". La dedicación benévola e incondicionada a la justicia en el respeto de la libertad y de la persona humana fue el norte de su conducta como magistrado. Sirviendo a cada hombre, Santo Tomás Moro era consciente de servir a su Rey —es decir, al Estado—, pero quería, sobre todo, servir a Dios.

Esta tensión hacia Dios permeaba toda su conducta. Su familia, a la que se afanó por procurar una instrucción de elevado nivel moral, fue llamada por sus contemporáneos "academia cristiana". En su faceta de hombre público demostró ser enemigo absoluto de los favoritismos y de los privilegios del poder: profesó un ejemplar desprendimiento de los honores y los cargos y, a la vez, vivió con sencillez y humildad su condición de altísimo servidor del Rey.

Fiel hasta las últimas consecuencias a sus deberes civiles, se expuso a riesgos extremos por servir a su propio País. Consiguió ser un perfecto servidor del Estado porque luchó por ser un perfecto cristiano. «Dad, pues, al César lo que es del César y a Dios lo que es de Dios» (Mt 22, 21): Santo Tomás Moro comprendió que estas palabras de Cristo, que por una parte afirman la relativa autonomía de lo temporal en relación con lo espiritual, por otra —en cuanto pronunciadas por Dios mismo— obligan a la conciencia del cristiano a proyectar sobre la esfera civil los valores del Evangelio, rechazando todo compromiso y llegando, si es preciso, hasta el heroísmo del martirio, de un martirio que él personalmente afrontó con profunda humildad.

Su Martirio, dentro de los límites de la prudencia con que debe ser examinada la historia imperfecta de los hombres, es la prueba suprema de esta unidad de valores —fruto de la asidua búsqueda de la verdad y de una no menos tenaz lucha interior— a la que Santo Tomás Moro supo condicionar toda su existencia. Su extraordinario buen humor, su perenne serenidad, la atenta consideración de las posturas contrarias a la suya y el sincero perdón de quienes lo condenaban muestran cómo su coherencia se compaginaba con un profundo respeto de la libertad de los demás.

Precisamente la actualidad de esta convergencia de responsabilidad política y coherencia moral, de esta armonía entre lo sobrenatural y lo humano, de esta unidad de vida sin residuos, ha movido a numerosas personalidades públicas de varios Países del mundo a expresar su adhesión al Comité para la proclamación de Sir Thomas More, Santo y Mártir, como Patrono de los Gobernantes. Entre los firmantes de la presente instancia hay católicos y no católicos: son hombres de Estado que ejercen su actividad en circunstancias políticas y culturales muy heterogéneas, pero que comparten una misma sensibilidad ante el ejemplo moreano, un ejemplo fecundo que, por encima del mero arte de gobernar, comprende las virtudes indispensables del buen gobierno.

La política nunca fue para él una profesión interesada, sino un servicio con frecuencia arduo al que se había preparado concienzudamente no sólo con el estudio de la historia, las leyes y la cultura de su propio País, sino, sobre todo, por medio de un paciente examen de la naturaleza humana, con su grandeza y sus debilidades, y de las condiciones siempre perfectibles de la vida social. En la política encontró su cauce un asiduo esfuerzo personal de comprensión. Gracias a ese esfuerzo pudo mostrar la justa jerarquía de fines que, en virtud del primado de la Verdad sobre el poder y del Bien sobre la utilidad, todo gobierno debe perseguir. Orientó siempre su actuación en la perspectiva de los fines últimos, esos fines que ningún cambio histórico podrá nunca anular.

Ahí reside la fuerza que lo sostuvo cuando hubo de afrontar el martirio. Fue un mártir de la libertad en el sentido más moderno del término, porque se opuso a la pretensión del poder de dominar sobre las conciencias, tentación perenne —trágicamente atestiguada por la historia del siglo XX— de sistemas políticos que no reconocen nada por encima de ellos. Fiel a las instituciones de su pueblo —Ecclesia anglicana libera sit, rezaba la Magna Charta— y atento a las lecciones de la historia, que le mostraban que el primado de Pedro constituye una garantía de libertad para las Iglesias particulares, Santo Tomás Moro dio la vida por defender una Iglesia libre del dominio del Estado. A la vez estaba defendiendo también la libertad y el primado de la conciencia del ciudadano frente al poder civil.

Fue mártir de la libertad porque fue mártir de la primacía de la conciencia, una primacía que, sólidamente enraizada en la búsqueda de la verdad, nos hace plenamente responsables de nuestras decisiones y, por tanto, libres de todo vínculo que no sea el propio del ser creado, esto es, el vínculo que nos une a Dios. Su Santidad nos ha recordado que la conciencia moral rectamente entendida es «testimonio de Dios mismo, cuya voz y cuyo juicio penetran la intimidad del hombre hasta las raíces de su alma» (Enc. Veritatis splendor, n. 58). Nos parece que esa es la lección fundamental de Santo Tomás Moro a los hombres de Gobierno: la lección de la huida del éxito y el consenso fáciles cuando ponen en entredicho la fidelidad a los principios irrenunciables, de los que dependen la dignidad del hombre y la justicia del orden civil. Y nos parece una lección altamente inspiradora para todos los que, en el umbral del nuevo Milenio, se sienten llamados a conjurar las insidias disimuladas pero recurrentes de nuevas tiranías.

Por eso, seguros de actuar por el bien de la sociedad futura y confiando en que nuestra súplica encontrará benévola acogida en Su Santidad, pedimos que Sir Tomás Moro, Santo y Mártir, fiel servidor del Rey, pero sobre todo de Dios, sea proclamado "Patrono de los Hombres de Gobierno".

Testo in lingua francese

Très Saint-Père,

La personne de Saint Thomas More, martyr, suscite depuis des siècles non seulement la vénération des chrétiens mais encore l'intérêt profond du monde de la culture et celui de la politique, qui ne cessent d'approfondir les multiples aspects de sa vie et de son œuvre. Une bibliographie spécialisée ne cesse d'augmenter qui présente des caractéristiques significatives: la littérature rassemble d'abord des auteurs venant d'églises et de communautés chrétiennes différentes (Sir Thomas More est inscrit comme "martyr" au calendrier liturgique de l'Eglise Anglicane en Angleterre), de différents credo religieux, et même des agnostiques; voilà qui témoigne d'un intérêt véritablement universel. Saint Thomas More a extraordinairement apporté comme humaniste, apologète, juge et législateur, diplomate, homme d'État ; mais c'est l'homme aussi qui suscite l'admiration que l'on perçoit chez tous les auteurs; si la sainteté est aussi plénitude et épanouissement de l'humain, ceci est particulièrement vrai, tangible même, dans son cas.

Déjà le prédécesseur de Votre Sainteté sur le siège de Pierre, le Pape Pie XI, présenta Thomas More, dans la Bulle de Canonisation, comme un modèle d'intégrité exemplaire pour tous les chrétiens, en le définissant ainsi : «Laicorum hominum decus et ornamentum ». La force d'attraction croissante de ce grand personnage sur les laïcs évoque une présence étonnamment actuelle et vivante au fil du temps.

Saint Thomas More apparaît comme l'exemple parfait de cette «unité de vie » dont Votre Sainteté a indiqué qu'elle était comme étant l'expression spécifique de la sainteté pour les laïcs: «L'unité de la vie des fidèles laïcs revêt une énorme importance : ils doivent en effet se sanctifier dans la vie ordinaire, sociale et professionnelle ; pour pouvoir répondre à leur vocation, donc, les fidèles laïcs doivent se tourner vers les activités de la vie quotidienne comme vers une occasion d'union avec Dieu, d'accomplissement de sa volonté et de service envers les autres hommes » (Christifideles laici, n. 17). Chez Thomas il n'y eut jamais cette fracture entre la foi et la culture, les principes et le quotidien, que le Concile Vatican Il dénonce comme étant «parmi les plus graves erreurs de notre époque » (Gaudium et spes, n. 43).

Dans son activité d'humaniste, qui le vit embrasser les domaines les plus divers, de l'anglais au latin jusqu'au grec, de la philosophie politique à la théologie, il conjugua l'étude et la piété, la culture et l'ascèse, la soif de vérité et la recherche constante de la vertu dans un combat personnel aussi difficile que joyeux. En tant qu'avocat puis juge, outre le fait d'avoir été l'un des fondateurs de la science de la common law anglaise, il orienta l'interprétation et la formulation des lois dans la direction d'une véritable justice sociale et de la construction de la paix entre les individus et les nations. Plutôt que de réprimer, il cherchait la manière d'éliminer les causes de la violence ; il se fit le promoteur du bien commun, sans le séparer de la pratique constante de la charité ; ses concitoyens l'appelaient ainsi le défenseur des pauvres. Son œuvre de magistrat fut constamment guidée par un dévouement inconditionnel à la justice, dans le respect de la liberté et de l'être humain. En se faisant le serviteur de l'homme, saint Thomas More savait qu'il servait son Roi, c'est-à-dire l'État, mais c'est Dieu qu'avant tout il voulait servir.

Toute sa conduite était marquée de cette tension vers Dieu. Dans sa famille il fit régner une éducation et une formation de très haut niveau moral, à tel point que ses contemporains l'avaient définie «l'académie chrétienne ». Dans ses fonctions publiques il se fit l'ennemi de tout privilège et refusa tous les honneurs pour vivre humblement et simplement son statut de très haut serviteur du Roi.

Fidèle jusqu'au bout à ses devoirs civiques, il courut des risques extrêmes afin de servir son pays. Il put devenir un parfait serviteur de l'État parce qu'il lutta pour devenir un chrétien parfait.

«Rendez donc à César ce qui est de César, et à Dieu ce qui est de Dieu » (Mt 22,21): Thomas More comprit que si ces paroles du Christ témoignent de la séparation entre le temporel et le spirituel, elles engagent aussi la conscience du chrétien à vivre au quotidien les valeurs de l'Évangile, en refusant tout compromis, jusqu'à l'héroïsme du martyre, qu'il affronta en toute humilité.

Sans manquer de prudence et sans ignorer toute l'imperfection des hommes, on ne saurait nier que ce martyre est la preuve suprême de cette unité de valeurs, fruit d'une recherche intérieure acharnée, à laquelle saint Thomas More consacra toute son existence. Sa bonne humeur extraordinaire, sa sérénité rayonnante, son respect des points de vue contraires aux siens, son pardon sincère à ceux qui le condamnaient montrent bien comment il se conjuguait cohérence et profond respect de la liberté d'autrui.

Convergence d'engagement politique et de cohérence morale, harmonie du spirituel et del'humain, unité de vie sans compromis, autant d'éléments d'une valeur si actuelle qui ont conduit de nombreuses personnalités de plusieurs pays du monde à adhérer au Comité pour la proclamation de Sir Thomas More, Saint et Martyr, Patron des Gouvernants. On compte parmi les signataires de cette instance des catholiques et des non catholiques : des hommes d'État exerçant des fonctions politiques, mais aussi culturelles ; une grande diversité de personnages, tous extrêmement sensibles pourtant à la richesse de l'exemple de saint Thomas More : un exemple qui va bien au-delà de l'art de gouverner, pur et simple, pour embrasser toutes les vertus indispensables à un gouvernement sage et bon.

Thomas More n'entendit jamais la politique comme une profession, mais comme un service parfois ardu auquel il s'était longuement préparé, non seulement par l'étude de l'histoire, des lois et de la culture de son pays, mais surtout par la réflexion patiente sur la nature humaine dans sa grandeur et ses faiblesses, et par la recherche dans le domaine de l'amélioration des conditions de la vie sociale. La politique fut le débouché naturel de son effort acharné de compréhension. Grâce à cet effort il put montrer quelle hiérarchie des fins doit être observée par un gouvernement, à la lumière de la Vérité qui l'emporte sur le pouvoir, et du Bien qui l'emporte sur le profit. Il travailla toujours dans la perspective des buts ultimes, ceux que l'alternance des événements historiques ne pourra jamais rendre vains.

C'est là qu'il puisa la force qui l'aida à affronter le martyre. Il fut martyr de la liberté au sens le plus moderne du mot, car il s'opposa à la prétention du pouvoir d'avoir une emprise sur les consciences, ce qui a toujours constitué la tentation —l'histoire du XXème siècle en est le tragique témoignage —de ces systèmes politiques qui se croient au-dessus de tout. Fidèle aux institutions de son peuple —Ecclesia anglicana libera sit— (Magna Charta) —il fut un lecteur attentif de l'histoire : celle-ci lui montrait comment la primauté de Pierre constitue une assurance de liberté pour les Églises particulières; ainsi saint Thomas More donna-t-il sa vie pour défendre la liberté de l'Église vis-à-vis de l'État, en défendant du même coupe la liberté et la primauté de la conscience du citoyen vis-à-vis du pouvoir civil.

Il fut donc martyr de la liberté parce qu'il fut martyr de la primauté de la conscience, cette conscience qui nous rend pleinement responsables de nos décisions, maîtres de nous-mêmes, soumis uniquement à la contrainte, propre de la nature humaine, qui nous lie à Dieu.

Votre Sainteté nous a rappelé que la conscience morale est «témoignage de Dieu lui-même, dont la voix et le jugement pénètrent l'homme jusqu'au plus profond de son âme » (Veritatis Splendor, n. 58). Telle est, nous semble-t-il, la leçon fondamentale de saint Thomas More aux hommes de gouvernement : fuir le succès et le consensus facile au nom de la fidélité à des principes inaliénables, desquels dépendent la dignité de l'homme et la justice des législations ; voilà donc la leçon qui devrait inspirer tous ceux qui, à la veille du troisième millénaire, se sentent appelés à conjurer le danger de nouvelles tyrannies, plus ou moins déguisées.

Voilà pourquoi, certains d'agir pour le bien de la société de demain, nous espérons que notre supplication sera accueillie avec bienveillance par Votre Sainteté, et nous demandons que Sir Thomas More, Saint et Martyr, fidèle serviteur du Roi, mais avant tout de Dieu, soit proclamé «Patron des Gouvernants ».

Testo in lingua tedesca

Heiliger Vater!

Die Person des Märtyrers Thomas Morus inspiriert seit Jahrhunderten das Christenvolk zu aufrichtiger Verehrung. Doch ist er auch einer der Heiligen, dessen Leben und Werk in ihren vielgestaltigen Aspekten Menschen der Kultur und der Politik immer wieder zu neuen wissenschaftlichen und menschlichen Forschungen und Studien anregen. Die ständig wachsende Bibliografie weist einige bezeichnende Charakteristika auf. Insbesondere beschäftigen sich mit ihm Schriftsteller verschiedener christlicher Kirchen und Gemeinschaften (Sir Thomas More ist auch im liturgischen Kalender der anglikanischen Kirche in England als "Martyr" verzeichnet), unterschiedlichen Glaubens und sogar Agnostiker, alles Zeichen und Zeugnis eines wahrhaft universalen Interesses. Wir erkennen aber auch die Bewunderung, die sich auf den Menschen als solchen konzentriert, jenseits der Beiträge, die Thomas Morus in den Bereichen leistete, in denen er, der Humanist, der Apologet, der Rechtsgelehrte und Gesetzgeber, der Diplomat und Staatsmann, tätig war. Wenn Heiligkeit als solche auch Fülle des Menschlichen ist, so ist sie in diesem Fall geradezu greifbar.

Bereits der Vorgänger Eurer Heiligkeit auf dem Stuhl Petri, Papst Pius XI., stellte ihn in der Kanonisierungsbulle als Vorbild der wahrhaften sittlichen Integrität für alle Christen dar und bezeichnete ihn als "laicorum hominum decus et ornamentum". Und gerade die wachsende Anziehungskraft, die diese außerordentliche Gestalt auf die Laien ausübt, enthüllt uns einen Menschen, der im Laufe der Zeit immer lebendiger, klarer und immer aktueller wirkt.

Er erscheint uns als vollendetes Beispiel jener Einheit des Lebens, die Eure Heiligkeit gerade für Laien als Ausdruck der Heiligkeit bezeichnet hat: "Die Einheit des Lebens der Laien ist von entscheidender Bedeutung: Sie müssen sich in ihrem alltäglichen beruflichen und gesellschaftlichen Leben heiligen. Um ihre Berufung zu erfüllen, müssen die Laien ihr Tun im Alltag als Möglichkeit der Vereinigung mit Gott und der Erfüllung seines Willens sowie als Dienst an den anderen Menschen betrachten." (Ap. Schr. Christifideles Laici, Nr. 17). An ihm waren keine Anzeichen jener Spaltung zwischen Glauben und Kultur, zwischen Prinzipien und Alltagsleben zu erkennen, die das Zweite Vatikanische Konzil als eine der "schweren Verirrungen unserer Zeit" (Past. Konst. Gaudium et Spes, Nr. 43) beklagt.

Als Humanist wechselte er zwischen Englisch, Latein und Griechisch, zwischen Philosophie, insbesondere der politischen Philosophie und der Theologie hin und her, wusste im harten, und dennoch freudigen inneren Kampf Studium und Frömmigkeit miteinander zu vereinigen, Kultur mit Askese, Streben nach der Wahrheit mit der unermüdlichen Suche nach der Tugend. Als Rechtsgelehrter und Richter war er bei der Interpretation und der Formulierung der Gesetze (er gilt zu Recht als einer der Begründer der Lehre des englischen common law) stets bemüht, die wahre soziale Gerechtigkeit zu schützen und Frieden unter den Menschen und den Nationen aufzubauen. Mehr darauf bedacht, die Gründe für Gewaltanwendung zu beseitigen als sie zu unterdrücken, trennte er die leidenschaftliche und umsichtige Förderung des Gemeinwohls nicht von der steten Ausübung der Barmherzigkeit. Seine Mitbürger nannten ihn den "Schutzpatron der Armen". Verbindlich und bedingungslos widmete er sich der Gerechtigkeit unter Achtung der Freiheit und der menschlichen Person. Dies war der Leitfaden seines Handelns als Magistrat. Im Dienst jedes einzelnen Menschen stehen, —so verstand Thomas Morus seinen Dienst für den König, d.h. also für den Staat, doch wollte er vor allem Gott dienen.

Dieses Streben nach Gott durchdrang all sein Handeln. Seine Familie, in der er auf Bildung von höchstem moralischem Niveau bedacht war, wurde von den Zeitgenossen als "accademia cristiana" bezeichnet. Als Staatsmann erwies er sich als bedingungsloser Feind aller Bevorzugungen und Privilegien der Macht, stand Ehren und Würden fern und übte in aller Bescheidenheit und Demut sein Amt als höchster Diener seines Königs aus.

Er blieb seinen bürgerlichen Pflichten bis zuletzt treu und um seinem Land zu dienen, setzte er sich selbst extremen Gefahren aus. Er konnte der perfekte Diener des Staates werden, denn er kämpfte, um ein perfekter Christ zu sein.

"So gebt dem Kaiser, was des Kaisers ist, und Gott, was Gottes ist" (Mt. 22,21). Er verstand, dass diese Worte Christi einerseits dem Zeitlichen eine gewisse Unabhängigkeit vom Geistigen gewähren, andererseits —da sie ja von Gott selbst ausgesprochen wurden — das Gewissen des Christen dazu verpflichten, die Werte des Evangeliums in das bürgerliche Leben hineinzutragen, wobei jedoch jeglicher Kompromiss zurückzuweisen ist, und zwar bis zum Heldentum des Märtyrertodes, dem er in voller Demut entgegentrat.

Sein Martyrium ist, bei aller Rücksichtnahme auf die unvollkommene Geschichte aller Menschen, der höchste Beweis dieser Einheit der Werte — die hervorgeht aus der unermüdlichen Suche nach der Wahrheit und aus dem nicht minder beharrlichen inneren Kampf —, auf die Thomas Morus alles Streben seiner Existenz ausrichtete. Er war ein außerordentlich gut gelaunter Mensch, stets gelassen, immer achtete er Gegenargumente, aufrichtig verzieh er demjenigen, der ihn verurteilte. All das bezeugt seine Fähigkeit, die innere Kohärenz mit der wahren Achtung der Freiheit der Anderen zu vereinbaren.

Gerade dieses zeitnahe Konvergieren des politischen Engagements mit der moralischen Kohärenz, diese Harmonie zwischen Übernatürlichem und Menschlichem, diese Einheit des Lebens ohne Rest hat zahlreiche Vertreter des öffentlichen Lebens aus vielen Ländern der Erde dazu veranlasst, dem Komitee für die Ernennung von Sir Thomas More, dem Heiligen und Märtyrer, zum Schutzpatron der Regierenden beizutreten. Unter den Unterzeichnern dieses Antrags befinden sich Katholiken und Nicht-Katholiken, Staatsmänner, die nicht nur politisch, sondern in den unterschiedlichsten Sphären auch kulturell tätig sind, alle jedoch sind sich der fruchtbaren Anregungen bewusst, die von diesem vorbildlichen Mann ausgehen. Ein Beispiel, das weit über die reine Kunst des Regierens hinaus die unerlässlichen Tugenden des guten Regierens umschließt.

Politik war für ihn nicht ein Beruf im eigenen Interesse, sie war ein oftmals harter Dienst, auf den er sich gewissenhaft vorbereitet hatte. Er hatte nicht nur die Geschichte, die Gesetze, und die Kultur seines Landes studiert, vor allem hatte er mit großer Geduld das Wesen des Menschen erforscht, seine Größe und seine Schwächen, die stets der Verbesserung bedürftigen Konditionen des gesellschaftlichen Lebens. Dieses intensive Engagement, diese scharfsinnigen Einsichten mündeten zuletzt in die Politik. Daraus konnte er eine rechte Priorität der von den Regierenden zu verfolgenden Ziele aufstellen, wo die Wahrheit den Vorrang vor der Macht hat und das Gute den Vorrang vor dem Nutzen. Im Handeln hatte er immer das höchste Ziel vor Augen, das Ziel, das das Auf und Ab der Geschichte niemals zunichte machen konnte.

Hieraus schöpfte er die Kraft, mit der er dem Märtyrertod begegnete. Er war Märtyrer der Freiheit im modernsten Sinn des Wortes, denn er widersetzte sich der Forderung der Macht, über das Gewissen befehlen zu wollen, der ständigen Versuchung — die in der Geschichte des 20. Jh.s tragische Bestätigung fand — der politischen Ordnung, die keine Macht über sich anerkennen will. Thomas blieb den Institutionen seines Volkes treu (in der Magna Charta steht: Ecclesia anglicana libera sit), las mit großer Aufmerksamkeit die Geschichte, die ihm bewies, dass gerade der Primat Petri Gewährleistung der Freiheit besonderer Kirchen sei. Und Thomas Morus opferte sein Leben für die Unabhängigkeit der Kirche vom Staat. So, verteidigte er auch die Freiheit und den Vorrang des Gewissens der Bürger vor der zivilen Macht.

Märtyrer der Freiheit, Märtyrer für den Vorrang des Gewissens, das sich auf der Suche nach der Wahrheit bildet und festigt und uns dadurch die volle Verantwortung für unsere Entscheidungen auferlegt, denn wir sind Herr über uns selbst und somit frei von jeglichem Band, außer demjenigen, das uns, wie alle Kreaturen, mit Gott verbindet.

Eure Heiligkeit hat uns daran erinnert, dass das sittliche Gewissen, will man es recht verstehen, "Zeugnis von Gott selbst ist, dessen Stimme und dessen Urteil das Innerste des Menschen bis an die Wurzeln seiner Seele durchdringen" (Enz. Veritatis splendor, Nr. 58). Dies halten wir für die fundamentale Botschaft von Thomas Morus an die Politiker: die Lehre von der Flucht vor dem Erfolg und dem leicht zu erringenden Konsens, im Namen der Treue gegenüber den unverzichtbaren Prinzipien, denn hiervon hängt die Würde des Menschen ab und auch die Gerechtigkeit jeder Zivilordnung, eine Lehre, die für all diejenigen richtungsweisend wirken soll, die an der Schwelle zum neuen Jahrtausend dazu aufgerufen sind, die immer wiederkehrenden Gefahren neuer und getarnter Gewaltherrschaft zu bannen.

Deshalb bitten wir in der Überzeugung, für das Wohl der zukünftigen Gesellschaft zu handeln und im Vertrauen, dass unsere Bittschrift von Eurer Heiligkeit mit Wohlwollen entgegengenommen wird, dass Sir Thomas More, der Heilige und Märtyrer, der treue Diener seines Königs, vor allem jedoch Gottes, zum "Schutzpatron der Politiker" ernannt werde.

[02111-XX.01] [Testo originale: Plurilingue]