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UDIENZA AL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA IN OCCASIONE DELL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO, 21.01.2000


UDIENZA AL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA IN OCCASIONE DELL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

DISCORSO DEL SANTO PADRE

INDIRIZZO DI OMAGGIO DEL DECANO DEL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA

Alle 11.00 di questa mattina, il Santo Padre Giovanni Paolo II riceve in Udienza, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, i Prelati Uditori, gli Officiali e Avvocati del Tribunale della Rota Romana, per il tradizionale incontro in occasione dell’apertura dell’Anno Giudiziario.

Dopo l’indirizzo di omaggio di S.E. Mons. Raffaello Funghini, Decano del Tribunale della Rota Romana, il Papa rivolge ai presenti il discorso che segue:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Monsignor Decano,
Illustri Prelati Uditori ed Officiali della Rota Romana!

1. Ogni anno la solenne inaugurazione dell'attività giudiziaria del Tribunale della Rota Romana mi offre la gradita occasione di incontrare personalmente tutti voi, che costituite il Collegio dei Prelati Uditori, degli Officiali e degli Avvocati patrocinanti presso questo Tribunale. Mi dà, altresì, l'opportunità di rinnovarvi l'espressione della mia stima e di manifestarvi viva riconoscenza per il prezioso lavoro che generosamente e con qualificata competenza svolgete a nome e per mandato della Sede Apostolica.

Tutti vi saluto con affetto, riservando un particolare saluto al nuovo Decano, che ringrazio per il devoto omaggio testé indirizzatomi a nome suo personale e di tutto il Tribunale della Rota Romana. Desidero, in pari tempo, rivolgere un pensiero di gratitudine e di ringraziamento all'Arcivescovo Mons. Mario Francesco Pompedda, recentemente nominato Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, per il lungo servizio da lui reso con generosa dedizione e singolare preparazione e competenza presso il vostro Tribunale.

2. Questa mattina, quasi sollecitato dalle parole di Mons. Decano, desidero soffermarmi a riflettere con voi sull’ipotesi di valenza giuridica della corrente mentalità divorzista ai fini di una eventuale dichiarazione di nullità di matrimonio, e sulla dottrina dell'indissolubilità assoluta del matrimonio rato e consumato, nonché sul limite della potestà del Sommo Pontefice nei confronti di tale matrimonio.

Nell’Esortazione apostolica Familiaris consortio, pubblicata il 22 novembre 1981, mettevo in luce sia gli aspetti positivi della nuova realtà familiare, quali la coscienza più viva della libertà personale, la maggiore attenzione alle relazioni personali nel matrimonio e alla promozione della dignità della donna, sia quelli negativi legati alla degradazione di alcuni valori fondamentali, e all'"errata concezione teorica e pratica dell'indipendenza dei coniugi fra di loro", rilevando la loro incidenza sul "numero crescente dei divorzi" (n. 6).

Alla radice dei denunziati fenomeni negativi, scrivevo, "sta spesso una corruzione dell'idea e dell'esperienza della libertà, concepita non come la capacità di realizzare la verità del progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia, ma come autonoma forza di affermazione, non di rado contro gli altri, per il proprio egoistico benessere" (n. 6). Per questo sottolineavo il "dovere fondamentale" della Chiesa di "riaffermare con forza, come hanno fatto i Padri del Sinodo, la dottrina dell'indissolubilità del matrimonio" (n. 20), anche al fine di dissipare l'ombra che, sul valore dell'indissolubilità del vincolo coniugale, sembrano gettare alcune opinioni scaturite nell'ambito della ricerca teologico-canonistica. Si tratta di tesi favorevoli al superamento dell'incompatibilità assoluta tra un matrimonio rato e consumato (cfr CIC, can. 1061 § 1) e un nuovo matrimonio di uno dei coniugi, durante la vita dell'altro.

3. La Chiesa, nella sua fedeltà a Cristo, non può non ribadire con fermezza "il lieto annuncio della definitività di quell'amore coniugale, che ha in Gesù il suo fondamento e la sua forza (cfr Ef 5,25)" (FC, 20), a quanti, ai nostri giorni, ritengono difficile o addirittura impossibile legarsi ad una persona per tutta la vita e a quanti si ritrovano, purtroppo, travolti da una cultura che rifiuta l'indissolubilità matrimoniale e che deride apertamente l'impegno degli sposi alla fedeltà.

Infatti, "radicata nella personale e totale donazione dei coniugi e richiesta dal bene dei figli, l'indissolubilità del matrimonio trova la sua verità ultima nel disegno che Dio ha manifestato nella sua Rivelazione: Egli vuole e dona l'indissolubilità matrimoniale come frutto, segno ed esigenza dell'amore assolutamente fedele che Dio ha per l'uomo e che il Signore Gesù vive verso la sua Chiesa" (FC, n. 20).

Il "lieto annuncio della definitività dell'amore coniugale" non è una vaga astrazione o una bella frase che riflette il comune desiderio di coloro che si determinano al matrimonio. Questo annuncio si radica piuttosto nella novità cristiana, che fa del matrimonio un sacramento. Gli sposi cristiani, che hanno ricevuto "il dono del sacramento", sono chiamati con la grazia di Dio a dare testimonianza "alla santa volontà del Signore: «Quello che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi» (Mt 19,6), ossia all'inestimabile valore dell'indissolubilità ... matrimoniale" (FC, n. 20). Per questi motivi - afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica - "la Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (Mc 10, 11-12...), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio" (n. 1650).

4. Certo, "la Chiesa può, dopo esame della situazione da parte del tribunale ecclesiastico competente, dichiarare «la nullità del matrimonio», vale a dire che il matrimonio non è mai esistito", e, in tal caso, le parti "sono libere di sposarsi, salvo rispettare gli obblighi naturali derivati da una precedente unione" (CCC, n. 1629). Le dichiarazioni di nullità per i motivi stabiliti dalle norme canoniche, specialmente per il difetto e i vizi del consenso matrimoniale (cfr CIC cann. 1095 - 1107), non possono però contrastare con il principio dell'indissolubilità.

E' innegabile che la corrente mentalità della società in cui viviamo ha difficoltà ad accettare l'indissolubilità del vincolo matrimoniale ed il concetto stesso di matrimonio come "foedus, quo vir et mulier inter se totius vitae consortium constituunt" (CIC, can. 1055 § 1), le cui essenziali proprietà sono "unitas et indissolubilitas, quae in matrimonio christiano ratione sacramenti peculiarem obtinent firmitatem" (CIC, can. 1056). Ma tale reale difficoltà non equivale "sic et simpliciter" ad un concreto rifiuto del matrimonio cristiano o delle sue proprietà essenziali. Tanto meno essa giustifica la presunzione, talvolta purtroppo formulata da alcuni Tribunali, che la prevalente intenzione dei contraenti, in una società secolarizzata e attraversata da forti correnti divorziste, sia di volere un matrimonio solubile tanto da esigere piuttosto la prova dell'esistenza del vero consenso.

La tradizione canonistica e la giurisprudenza rotale, per affermare l'esclusione di una proprietà essenziale o la negazione di un'essenziale finalità del matrimonio, hanno sempre richiesto che queste avvengano con un positivo atto di volontà, che superi una volontà abituale e generica, una velleità interpretativa, un'errata opinione sulla bontà, in alcuni casi, del divorzio, o un semplice proposito di non rispettare gli impegni realmente presi.

5. In coerenza con la dottrina costantemente professata dalla Chiesa, si impone, perciò, la conclusione che le opinioni contrastanti con il principio dell'indissolubilità o gli atteggiamenti contrari ad esso, senza il formale rifiuto della celebrazione del matrimonio sacramentale, non superano i limiti del semplice errore circa l'indissolubilità del matrimonio che, secondo la tradizione canonica e la normativa vigente, non vizia il consenso matrimoniale (cfr CIC, can. 1099).

Tuttavia, in virtù del principio dell'insostituibilità del consenso matrimoniale (cfr CIC, can. 1057), l'errore circa l'indissolubilità, in via eccezionale, può avere efficacia invalidante il consenso, qualora positivamente determini la volontà del contraente verso la scelta contraria all'indissolubilità del matrimonio (cfr CIC, can. 1099).

Ciò si può verificare soltanto quando il giudizio erroneo sulla indissolubilità del vincolo influisce in modo determinante sulla decisione della volontà, perché orientato da un intimo convincimento profondamente radicato nell'animo del contraente e dal medesimo con determinazione e ostinazione professato.

6. L'odierno incontro con voi, membri del Tribunale della Rota Romana, è un contesto adeguato per parlare anche a tutta la Chiesa sul limite della potestà del Sommo Pontefice nei confronti del matrimonio rato e consumato, che "non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte" (CIC, can. 1141; CCEO, can. 853). Questa formulazione del diritto canonico non è di natura soltanto disciplinare o prudenziale, ma corrisponde ad una verità dottrinale da sempre mantenuta nella Chiesa.

Tuttavia, va diffondendosi l'idea secondo cui la potestà del Romano Pontefice, essendo vicaria della potestà divina di Cristo, non sarebbe una di quelle potestà umane alle quali si riferiscono i citati canoni, e quindi potrebbe forse estendersi in alcuni casi anche allo scioglimento dei matrimoni rati e consumati. Di fronte ai dubbi e turbamenti d'animo che ne potrebbero emergere, è necessario riaffermare che il matrimonio sacramentale rato e consumato non può mai essere sciolto, neppure dalla potestà del Romano Pontefice. L'affermazione opposta implicherebbe la tesi che non esiste alcun matrimonio assolutamente indissolubile, il che sarebbe contrario al senso in cui la Chiesa ha insegnato ed insegna l'indissolubilità del vincolo matrimoniale.

7. Questa dottrina, della non estensione della potestà del Romano Pontefice ai matrimoni rati e consumati, è stata proposta molte volte dai miei Predecessori (cfr, ad esempio, Pio IX, Lett. Verbis exprimere, 15 agosto 1859: Insegnamenti Pontifici, Ed. Paoline, Roma 1957, vol. I, n. 103; Leone XIII, Lett. Enc. Arcanum, 10 febbraio 1880: ASS 12 (1879-1880), 400; Pio XI, Lett. Enc. Casti connubii, 31 dicembre 1930: AAS 22 (1930), 552; Pio XII, Allocuzione agli sposi novelli, 22 aprile 1942: Discorsi e Radiomessaggi di S.S. Pio XII, Ed. Vaticana, vol. IV, 47). Vorrei citare, in particolare, un'affermazione di Pio XII: "Il matrimonio rato e consumato è per diritto divino indissolubile, in quanto che non può essere sciolto da nessuna autorità umana (can. 1118); mentre gli altri matrimoni, sebbene intrinsecamente siano indissolubili, non hanno però una indissolubilità estrinseca assoluta, ma, dati certi necessari presupposti, possono (si tratta, come è noto, di casi relativamente ben rari) essere sciolti, oltre che in forza del privilegio Paolino, dal Romano Pontefice in virtù della sua potestà ministeriale" (Allocuzione alla Rota Romana, 3 ottobre 1941: AAS 33 (1941), pp. 424-425). Con queste parole Pio XII interpretava esplicitamente il canone 1118, corrispondente all'attuale canone 1141 del Codice di Diritto Canonico, e al canone 853 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, nel senso che l'espressione «potestà umana» include anche la potestà ministeriale o vicaria del Papa, e presentava questa dottrina come pacificamente tenuta da tutti gli esperti in materia. In questo contesto conviene citare anche il Catechismo della Chiesa Cattolica, con la grande autorità dottrinale conferitagli dall'intervento dell'intero Episcopato nella sua redazione e dalla mia speciale approvazione. Vi si legge infatti: "Il vincolo matrimoniale è dunque stabilito da Dio stesso, così che il matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può mai essere sciolto. Questo vincolo, che risulta dall'atto umano libero degli sposi e dalla consumazione del matrimonio, è una realtà ormai irrevocabile e dà origine ad un'alleanza garantita dalla fedeltà di Dio. Non è in potere della Chiesa pronunciarsi contro questa disposizione della sapienza divina" (n. 1640).

8. Il Romano Pontefice, infatti, ha la "sacra potestas" di insegnare la verità del Vangelo, amministrare i sacramenti e governare pastoralmente la Chiesa in nome e con l'autorità di Cristo, ma tale potestà non include in sé alcun potere sulla Legge divina naturale o positiva. Né la Scrittura né la Tradizione conoscono una facoltà del Romano Pontefice per lo scioglimento del matrimonio rato e consumato; anzi, la prassi costante della Chiesa dimostra la consapevolezza sicura della Tradizione che una tale potestà non esiste. Le forti espressioni dei Romani Pontefici sono soltanto l'eco fedele e l'interpretazione autentica della convinzione permanente della Chiesa.

Emerge quindi con chiarezza che la non estensione della potestà del Romano Pontefice ai matrimoni sacramentali rati e consumati è insegnata dal Magistero della Chiesa come dottrina da tenersi definitivamente, anche se essa non è stata dichiarata in forma solenne mediante un atto definitorio. Tale dottrina infatti è stata esplicitamente proposta dai Romani Pontefici in termini categorici, in modo costante e in un arco di tempo sufficientemente lungo. Essa è stata fatta propria e insegnata da tutti i Vescovi in comunione con la Sede di Pietro nella consapevolezza che deve essere sempre mantenuta e accettata dai fedeli. In questo senso è stata riproposta dal Catechismo della Chiesa Cattolica. Si tratta d'altronde di una dottrina confermata dalla prassi plurisecolare della Chiesa, mantenuta con piena fedeltà e con eroismo, a volte anche di fronte a gravi pressioni dei potenti di questo mondo.

E' altamente significativo l'atteggiamento dei Papi, i quali, anche nel tempo di una più chiara affermazione del primato Petrino, mostrano di essere sempre consapevoli del fatto che il loro Magistero è a totale servizio della Parola di Dio (cfr Cost. dogm. Dei Verbum, 10) e, in questo spirito, non si pongono al di sopra del dono del Signore, ma si impegnano soltanto a conservare e ad amministrare il bene affidato alla Chiesa.

9. Queste sono, illustri Prelati Uditori ed Officiali, le riflessioni, che, in materia di tanta importanza e gravità, mi premeva parteciparvi. Le affido alle vostre menti e ai vostri cuori, sicuro della vostra piena fedeltà e adesione alla Parola di Dio, interpretata dal Magistero della Chiesa, e alla legge canonica nella più genuina e completa interpretazione.

Invoco sul vostro non facile servizio ecclesiale la costante protezione di Maria, Regina familiae. Nell'assicurarvi che vi sono vicino con la mia stima ed il mio apprezzamento, di cuore imparto a tutti voi, quale pegno di costante affetto, una speciale Apostolica Benedizione.

[00217-01.01] [Testo originale:italiano]

INDIRIZZO DI OMAGGIO DEL DECANO DEL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA

Beatissimo Padre,

anche quest'anno, nonostante i molteplici e gravosi impegni dell'anno giubilare, avete benevolmente voluto, secondo la tradizione, solennizzare 1'inaugurazione dell'Anno Giudiziario del nostro Tribunale con 1' incontro dei Prelati Uditori, Promotori di giustizia, Difensori del vincolo, Officiali della Cancelleria e con gli Avvocati e loro familiari.

Grazie, Padre Santo, per tale gesto, eloquente testimonianza della costante Vostra attenzione alla nostra attività e manifesto apprezzamento per il nostro lavoro nell'amministrazione della giustizia, che, come autorevolmente affermò Pio XII, "nella Chiesa è una funzione della cura delle anime, un'emanazione di quella potestà e sollecitudine pastorale, la cui pienezza e universalità sta radicata ed inclusa nella consegna delle chiavi al primo Pietro" (Allocuzione alla Rota Romana, 3 ottobre 1941, AAS XXXIII ( 1941 ), pag. 421).

Già Pio XI aveva affermato : "Iuris dicundi munus… itidem nobilissimum sacerdotium" (AAS, XXVI, 1934, pag. 497).

Questo "nobilissimum sacerdotium" il giudice ecclesiastico, anche se non ha per ufficio proprio e diretto la cura delle anime, lo esercita specialmente nella trattazione e decisione delle cause nullitatis matrimonii, essendo 1'oggetto delle medesime una res sacra, il sacramentum magnum in Christo et in Ecclesia (Eph. V, 32).

E se ciò da un lato esclude la competenza dell'autorità civile, eccetto che per gli effetti mere civiles (c. 1059), dall'altra consacra "ampia e profonda la competenza della Chiesa nelle questioni matrimoniali, perché da lei, per istituzione divina, dipende soprattutto ciò che riguarda la tutela del vincolo coniugale e della santità delle nozze" (Pio XII, Allocuzione alla Rota, 6.X.1946, AAS XXXVIII, pag. 395).

Così la potestà giudiziaria e la concreta amministrazione della giustizia s' innestano e rimangono pienamente inserite nella vita della Chiesa realizzando il suo specifico nobile fine "caelestia ac sempiterna bona comparare" .

Nobilissimum sacerdotium infine esercita il giudice ecclesiastico quando tempera il rigore della legge con 1'equitas canonica, definita dall'Hostiensis "iustitia dulcore misericordiae temperata" (Summa Aurea, Lib. V, De Dispensationibus), "che è frutto della… carità pastorale e costituisce una delle sue più delicate espressioni" (Paolo VI, Allocuzione alla Rota, 8 febbraio 1973, AAS LXV (1973), pag. 95).

La Chiesa, ben consapevole, come afferma la Familiaris Consortio, "che il matrimonio e la famiglia costituiscono uno dei beni più preziosi dell'umanità", anche attraverso 1'opera dei tribunali ecclesiastici, "vuol far giungere la sua voce ed offrire il suo aiuto a chi ... incerto ed ansioso è alla ricerca della verità e a chi è ingiustamente impedito di vivere liberamente il suo progetto familiare" (n. 1 - versione italiana O. R. 17 dicembre 1981 ).

La paterna sollecitudine pastorale di Vostra Santità instancabilmente, dall'inizio del Pontificato, non ha cessato di richiamare - sia nei documenti magisteriali, sia nella costante evangelizzazione - 1' attenzione dei credenti e di tutti gli uomini di buona volontà sulla santità ed esigenze del matrimonio cristiano, sulla insostituibile funzione della famiglia, cellula primaria della vita religiosa e sociale, rivelando in pari tempo la precaria condizione in cui versa la medesima in tutto il mondo, a causa dello scadimento dei valori fondamentali del matrimonio stesso, e di un'errata concezione teorica e pratica dell'indipendenza dei coniugi tra loro, come dimostra il numero crescente di divorzi, la piaga dell'aborto e il dilagare delle unioni di fatto.

In particolare avete denunziato il progressivo affermarsi sia del concetto del matrimonio come fatto esclusivamente personale da vivere e gestire a proprio arbitrio, sia di una ben marcata insofferenza verso un impegno duraturo per tutta la vita, sia infine 1'acquiescienza verso la prospettiva di un legame vincolante solo finché dura 1' amore e tutto procede favorevolmente secondo le prospettive.

Ai vostri ripetuti richiami ha fatto eco il recentissimo Sinodo dei Vescovi, che ha sottolineato le gravi preoccupazioni della Chiesa per il futuro dell'Europa, atteso il clima di precarietà e di incertezza che si cerca di instaurare nella famiglia.

Dall'attento esame degli atti delle cause undique terrarum deferite al nostro Tribunale - osservatorio, pertanto, quanto mai privilegiato - conferma e, se ce ne fosse bisogno, avvalora 1'esattezza e completezza dell'analisi da Voi ripetutamente proposta circa 1'attuale situazione del matrimonio e della famiglia nel mondo cattolico.

Da questo infatti emerge la leggerezza con cui viene affrontato il problema matrimoniale da parte anche dei contraenti che si proclamano cattolici, il preoccupante affievolimento delle difese morali, la mancanza della coscienza del peccato, la difficoltà ad accettare una scelta di vita che comporti un impegno duraturo e vincolante nella buona e cattiva sorte, il rigetto dell' idea del sacrificio, una distorta concezione della libertà, che diviene implicita accettazione del divorzio come soluzione a situazioni umanamente avverse e dolorose, avvalorata da un'assuefazione alla purtroppo quasi ovunque diffusa pratica del medesimo.

Questa dolorosa constatazione, se primieramente impegna i Vescovi e i Pastori di anime e catechisti per una concreta specifica azione pastorale in conformità alle disposizioni del can. 1063, del vigente Codice, che ha recepito in toto quanto affermato e sottolineato nella Lumen Gentium (n. 41 ) e nella Gaudium et Spes (nn. 47-52), di riflesso interessa anche il Giudice per la valutazione dell'influsso nel consenso di una tale mentalità radicalmente secolarizzata e non collimante con il genuino concetto di matrimonio sacramento.

La nostra attività pertanto, "si svolge - come amabilmente ci ricordaste nell'Udienza del 28 gennaio 1982 - per lo più nell'ambito della famiglia, del matrimonio e dell'amore coniugale" (AAS LXXIV ( 1982), pag . 449) .

Compito non facile quello del Giudice, che deve, secundum legem valutare un atto interno di uno o ambedue i contraenti e, senza indulgere ad un eccessivo formalismo giuridico, evitare un'arbitraria soggettiva interpretazione della legge .

Poiché "1'oggettività tipica della giustizia e del processo, che nella "quaestio facti" si concretizza nell'aderenza alla verità, nella "quaestio juris" si traduce nella fedeltà alla legge" (Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota, 4 febbraio 1980, AAS LXXII, pag. 177), a quella divina naturale e positiva, a quella canonica sostanziale e procedurale, ciò esige, oltre la conoscenza della norma giuridica e la retta interpretazione della medesima secondo il senso alla stessa attribuito dal Legislatore, 1'attenta analisi degli atti processuali in ordine alla norma da applicare senza pregiudizio o cedimenti a sopravvalutare il peso e condizionamento della società secolarizzata, quasi questa costituisca da sola una valida presunzione dell'atto simulatorio.

Tale richiesta fedeltà alla legge importa non solo che "lex amplius ignorari nequit" (Praefatio C.J.C. 1983, pag. 30), ma rigoroso assenso alle norme vigenti, debitamente illustrate dalla giurisprudenza e "non si deve dimenticare - gravemente ci ammoniste all' indomani dell'entrata in vigore del nuovo Codice nell'Udienza del 26 gennaio 1984 -, che il periodo dello ius condendum è terminato, e che la legge, ora, pur con i suoi eventuali limiti e difetti, è una scelta fatta dal Legislatore, dopo ponderata riflessione, e che quindi essa esige piena adesione. Ora non è più tempo di discussione, ma di applicazione" (Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota, 26 gennaio 1984, AAS LXXVI ( 1984), pag . 646) .

Risuonano nel nostro cuore le gravi parole che nella scorsa notte di Natale, dopo aver aperto la Porta Santa e dato inizio all'anno giubilare, avete con fermezza rivolto al mondo intero: "Per promuovere i diritti umani, è necessario tutelare quelli della famiglia, giacché è a partire da essa che si può dare una risposta integrale alle sfide del presente e del futuro. La famiglia è una comunità di amore e di vita, che si realizza quando un uomo e una donna si donano 1'uno all'altro totalmente nel matrimonio, disposti ad accogliere il dono dei figli" .

Ci sentiamo direttamente chiamati in causa ed impegnati per la risposta integrale alle sfide del presente e del futuro, orgogliosi della bella definizione che del nostro Tribunale dette in uno dei primi suoi discorsi il Vostro predecessore Pio XII: "La Romana Rota ha la gloria di essere il Tribunale della famiglia cristiana, umile o alta, ricca o povera, nella quale entra la giustizia a far trionfare la legge divina nell'unione coniugale, come vindice del vincolo indissolubile, della piena libertà del consenso nell'unità di vita, della santità del sacramento" (Discorsi e Radiomessaggi II (1940-41) pag. 235).

Perché la Rota Romana continui ad essere "il Tribunale della famiglia cristiana" e realmente promuova i diritti umani, sul nostro quotidiano lavoro, sul rinnovato impegno di servizio alla verità, sul nostro desiderio di soddisfare, nella fedeltà all'insegnamento evangelico e alla legislazione canonica, le esigenze e le attese del Popolo di Dio, scenda propiziatrice di divine consolazioni la Vostra Benedizione, che devotamente, ma fervidamente, imploriamo.

[00218-01.01] [Testo originale:italiano]